Vaticano. Presentato Convegno "La felicità, misura dell'economia?"
Sono stati presentati ieri alla stampa, presso il Pontificio Consiglio della Cultura,
i temi e le motivazioni alla base del Convegno “Benessere della società: la felicità
come misura dell’economia? Una prospettiva culturale”, che si terrà a Roma il 28 maggio
prossimo. All’incontro sono intervenuti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente
del medesimo dicastero, assieme all’ambasciatore britannico presso la Santa Sede e
a quello della Costa Rica, rispettivamente Nigel Baker e Fernando Felipe Sanchez.
Non è comune parlare di felicità in materia di economia, anche se, nel titolo del
Convegno, viene usato il punto interrogativo. Quale il significato di questa proposta?
Adriana Masotti ne ha parlato con mons. Franco Perazzolo del Pontificio
Consiglio della Cultura, anch’egli presente al briefing di stamani:
R. – Per rispondere,
vorrei continuare a leggere con il sottotitolo che dice: “Una prospettiva culturale”.
Allora si capisce la motivazione per cui abbiamo inserito il termine “felicità” come
misura dell’economia, perché l’economia non è più una scienza esclusivamente dei numeri
– bilanci, prodotto, prodotto interno lordo – ma l’economia diventa realtà tipicamente
umana e la persona umana non è soltanto produzione, non è soltanto stomaco – tanto
per essere un po’ crudo nel linguaggio – ma la persona umana è molto di più. Allora,
misurare l’economia di un’umanità non significa soltanto far quadrare dei numeri,
ma domandarsi anche quante possibilità hanno queste persone di essere persone e quindi
essere persone felici.
D. – E in che modo questa prospettiva culturale può
essere valida e presentabile oggi, proprio in mezzo ad una crisi che ci colpisce nelle
cose più essenziali?
R. – Giustissimo. Qualche altro ha chiesto come mai ci
si occupi di bellezza, di arte, in un momento in cui ci sarebbe bisogno di trovare
fondi per soccorrere situazioni di emergenza. Legittima anche questa domanda. Ma io
farei una riflessione, ripartendo di nuovo dalla persona umana. Quando noi viviamo
situazioni di crisi a livello economico, la domanda che ci dobbiamo fare non è solo
quella di quanti soldi guadagnare, ma quanta possibilità abbiamo di aprire il discorso
economico a categorie cui non siamo più abituati. Per esempio, la categoria della
gratuità. Benedetto XVI e Papa Francesco adesso stanno continuamente insistendo sul
fatto che l’economia non può essere misurata soltanto in termini di produzione, in
termini di denaro, ma che bisogna rimettere al centro la persona, la persona che è
fatta soprattutto di dinamiche di relazione e non soltanto di dinamiche di scambio.
Paradossalmente, direi, proprio nel momento in cui viviamo questa crisi, forse abbiamo
la possibilità di riscoprire dimensioni economiche in senso più ampio, che il progresso
ci aveva fatto un po’ smarrire.
D. – La crisi che stiamo vivendo, in fondo,
non sembra aver messo abbastanza in discussione, così come invece si poteva sperare,
il modo di fare economia, le dinamiche della finanza, del mercato come le abbiamo
conosciute finora. Il vostro, quindi, è un contributo a una riflessione ulteriore
in questo senso…
R. – Io spero che la crisi abbia contribuito quantomeno a
far riemergere due attenzioni. Una l’abbiamo già detta, ed è quella alla persona,
prima che al suo prodotto. La seconda attenzione è l’attenzione etica sulla quale
il magistero della Chiesa ci ha sempre richiamati e oggi Papa Francesco lo fa in continuazione,
che vuol dire la dimensione della responsabilità. Io non posso costruire un’economia
senza domandarmi perché faccio determinate scelte, perché indirizzo certi sforzi in
una determinata direzione e non in un’altra, in maniera tale che la domanda di fondo
sia sempre questa: la persona, in tutti questi processi economici, dove si trova?
Insomma, io vorrei che risuonasse nell’economia quella domanda che Dio fa proprio
all’inizio della sua storia con l’umanità: dov’è tuo fratello? E’ moribondo, è affamato,
è ai margini, oppure lo stai cercando per riportarlo al centro, in maniera tale che
sia possibile veramente vivere la fraternità in tutte le sue dimensioni?