2013-05-21 12:45:21

Al Festival di Cannes la Roma di Sorrentino e gli orrori del nazismo e dei Khmer rossi


Il mondo che non c’è, che non c’è più, che scompare. Mentre Cannes è invasa da una folla straboccante di curiosi, gli schermi del Festival si riempiono di memoria, di viaggi al termine della notte, di ricostruzioni evocative del passato. Tre film, une finzione e due documentari, hanno coinvolto gli spettatori, come un’ombra del loro stesso divenire. “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino è la storia di un microcosmo edonistico estenuato, di un ambiente in lento disfacimento, di un fascino antico, ormai al tramonto. Il film si snoda intorno ai vagabondaggi del suo personaggio principale, uno scrittore giornalista, re delle feste mondane, nottambulo, fumatore incallito. Osservatore disincantato dello svanire dell’età, di un’epoca e dei personaggi che l’hanno popolata, Jep Gambardella è un uomo nel pieno di quella che lo scrittore Peter Handke avrebbe chiamato «infelicità senza desideri». Ma è un’infelicità quieta, non tragica: una constatazione, sovente cinica e divertita, della menzogna delle parole, dei corpi, dei luoghi destinati ad ospitarli. Roma è sullo sfondo, filmata come da tempo non si vedeva. La città respira col film, col suo protagonista che l’attraversa nella notte, nel crepuscolo, nei primi chiarori dell’alba. Sorrentino ha un’abilità straordinaria nel raccontare per frammenti, con scarti improvvisi di inquadrature e di sequenze, ciò che resta della «dolce vita». “La grande bellezza” insegue il sogno di Fellini, lo sfiora, lo spezza. La volgarità allegra e vitalistica degli anni ‘60 diventa qui il ghigno sardonico della morte in attesa. La frenesia della grande illusione di allora si è trasformata nel grande niente di oggi. Con “Le dernier des injustes”, Claude Lanzmann compie un passo indispensabile. L’autore di “Shoah” e di altri film che accompagnano il tortuoso cammino della comunità ebraica nel corso del ventesimo secolo, sceglie qui di rompere un silenzio durato quasi quarant’anni, riportando alla luce una lunga intervista al rabbino Benjamin Murmelstein, fatta a Roma nel 1975, e soprattutto la tragica epopea del ghetto di Terezin. Fatto di un lungo dialogo con quello che fu l’ultimo presidente del Consiglio ebraico, ma anche di importanti materiali di archivio e degli interventi dello stesso cineasta davanti alla macchina da presa, “Le dernier des injustes” racconta la grande menzogna dei nazisti che presentarono Terezin come la città donata da Hitler agli ebrei, filmandola come un luogo paradisiaco, quando invece era l’anticamera di una lunga agonia. Murmelstein, «il più anziano degli ebrei» come spregiativamente lo chiamavano i carnefici, mostra nelle sue parole una statura eccezionale. Il racconto della sua lunga lotta con Eichmann, allora incaricato della «soluzione finale», colpisce per la sua lucidità, per la sua precisione, per la sua saggezza. Murmelstein riuscì a fare emigrare 121 mila ebrei e ad evitare la liquidazione del ghetto. Lanzmann è stato – è ancora – un grande cineasta della testimonianza, della memoria. Vederlo sullo schermo ripercorrere i luoghi e i ricordi ci mette di fronte a una constatazione: ora che la Shoah è nella storia del mondo, coloro che l’hanno vissuta pian piano scompaiono. Murmelstein e Lanzmann ce ne consegnano le ultime tracce. Lavora sulla stessa materia, sullo stesso dolore, il cambogiano Rithy Panh. Il suo Paese, la sua gente, ha vissuto un altro genocidio, un’altra cancellazione. Testimone diretto della lenta distruzione di un popolo sulla base di un’aberrante ideologia di eguaglianza e purificazione, il cineasta ci consegna con “L’image manquante” il risultato di un lavoro eccezionale. Qui non ci sono vittime che ricordano, né materiali d’archivio che ci mostrino ciò che la vita era, prima. I Khmer rossi hanno proceduto a un’eliminazione sistematica non solo degli individui, ma della loro stessa memoria. La rieducazione prevedeva una tabula rasa. Allora, con una pazienza infinita, Rithy Panh cerca di dare corpo ai suoi ricordi, li ricostruisce con le mani, con un lento lavoro di artigiano. Il mondo sparito riprende forma negli spazi e nelle figurine di terracotta. L’esistenza felice dell’infanzia e l’orrore di ciò che venne dopo procedono nelle parole, nelle musiche, nei pochi frammenti di film rimasti, nelle immagini di propaganda. Curiosamente, i Khmer rossi presero il potere nel 1975, proprio quando Lanzmann a Roma raccoglieva la testimonianza di Murmelstein. Il cinema, i film, i festival, hanno talvolta la forza e il compito di una staffetta. Il testimone passa di mano in mano, da una memoria all’altra. La Storia sta dietro le spalle. Il presente avanza con la coscienza di un futuro difficile. (Da Cannes, Luciano Barisone)RealAudioMP3







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