Testo integrale con le risposte del Papa nella Veglia di Pentecoste
Avere il coraggio della fede senza essere cristiani inamidati, costruire una cultura
dell’incontro, aiutare il prossimo soprattutto le famiglie, il cui destino è più importante
dei bilanci delle banche. Questo in sintesi quanto espresso da Papa Francesco nel
discorso rivolto sabato sera alle circa 200 mila persone che hanno gremito Piazza
San Pietro per partecipare alla Veglia di Pentecoste dedicata ai Movimenti, le nuove
Comunità, le Associazioni e le Aggregazioni laicali. Questo il testo integrale con
le risposte a braccio del Papa a quattro domande:
Domanda 1 “La verità
cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza
umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto
l’uomo e di tutti gli uomini”. Santo Padre, queste Sue parole ci hanno profondamente
colpito: esse esprimono in maniera diretta e radicale l’esperienza che ciascuno di
noi desidera vivere soprattutto nell’Anno della fede e in questo pellegrinaggio che
stasera ci ha portato qui. Siamo davanti a Lei per rinnovare la nostra fede, per confermarla,
per rafforzarla. Sappiamo che la fede non può essere una volta per tutte. Come diceva
Benedetto XVI nella Porta fidei: “la fede non è un presupposto ovvio”. Questa affermazione
non riguarda soltanto il mondo, gli altri, la tradizione da cui veniamo: questa affermazione
riguarda innanzitutto ciascuno di noi. Troppe volte ci rendiamo conto di come la fede
sia un germoglio di novità, un inizio di cambiamento, ma stenti poi a investire la
totalità della vita. Non diventa l’origine di tutto il nostro conoscere e agire. Santità,
come Lei ha potuto raggiungere nella Sua vita la certezza sulla fede? E quale strada
ci indica perché ciascuno di noi possa vincere la fragilità della fede?
Domanda
2 Padre Santo, la mia è una esperienza di vita quotidiana come tante. Cerco
di vivere la fede nell’ambiente di lavoro a contatto con gli altri come testimonianza
sincera del bene ricevuto nell’incontro con il Signore. Sono, siamo “pensieri di Dio”,
investiti da un Amore misterioso che ci ha dato la vita. Insegno in una scuola e questa
coscienza mi dà il motivo per appassionarmi ai miei ragazzi e anche ai colleghi. Verifico
spesso che molti cercano la felicità in tanti itinerari individuali in cui la vita
e le sue grandi domande spesso si riducono al materialismo di chi vuole avere tutto
e resta perennemente insoddisfatto o al nichilismo per cui nulla ha senso. Mi chiedo
come la proposta della fede, che è quella di un incontro personale, di una comunità,
di un popolo, possa raggiungere il cuore dell’uomo e della donna del nostro tempo.
Siamo fatti per l’infinito -“giocate la vita per cose grandi!” ha detto Lei recentemente
-, eppure tutto attorno a noi e ai nostri giovani sembra dire che bisogna accontentarsi
di risposte mediocri, immediate e che l’uomo deve adattarsi al finito senza cercare
altro. A volte siamo intimiditi, come i discepoli alla vigilia della Pentecoste. La
Chiesa ci invita alla Nuova Evangelizzazione. Penso che tutti noi qui presenti sentiamo
fortemente questa sfida, che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo vorrei
chiedere a Lei, Padre Santo, di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa
sfida nel nostro tempo. Quale è per Lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti,
associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati?
Come possiamo comunicare in modo efficace la fede oggi?
Domanda 3 Padre
Santo, ho ascoltato con emozione le parole che ha detto all’udienza con i giornalisti
dopo la Sua elezione: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Molti di noi
sono impegnati in opere di carità e giustizia: siamo parte attiva di quella radicata
presenza della Chiesa lì dove l’uomo soffre. Sono una impiegata, ho la mia famiglia
e, come posso, mi impegno personalmente nella vicinanza e nell’aiuto ai poveri. Ma
non per questo mi sento a posto. Vorrei poter dire con Madre Teresa: tutto è per Cristo.
Il grande aiuto a vivere questa esperienza sono i fratelli e le sorelle della mia
comunità che si impegnano per lo stesso scopo. E in questo impegno siamo sostenuti
dalla fede e dalla preghiera. Il bisogno è grande. Ce lo ha ricordato Lei: “Quanti
poveri ci sono ancora nel mondo e quanta sofferenza incontrano queste persone". E
la crisi ha aggravato tutto. Penso alla povertà che affligge tanti Paesi e che si
è affacciata anche nel mondo del benessere, alla mancanza di lavoro, ai movimenti
migratori di massa, alle nuove schiavitù, all’abbandono e alla solitudine di tante
famiglie, di tanti anziani e di tante persone che non hanno casa o lavoro. Vorrei
chiederle, Padre Santo: come io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per
i poveri? In che modo l'uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti,
come movimenti e associazioni laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo
dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica
pubblica, il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini
e donne?
Domanda 4 Camminare, costruire, confessare. Questo Suo “programma”
per una Chiesa-movimento, così almeno l’ho inteso sentendo una Sua omelia all’inizio
del Pontificato, ci ha confortati e spronati. Confortati, perché ci siamo ritrovati
in una unità profonda con gli amici della comunità cristiana e con tutta la Chiesa
universale. Spronati, perché in un certo senso Lei ci ha costretto a togliere la polvere
del tempo e della superficialità dalla nostra adesione a Cristo. Ma devo dire che
non riesco a superare il senso di turbamento che una di queste parole mi provoca:
confessare. Confessare, cioè testimoniare la fede. Pensiamo ai tanti nostri fratelli
che soffrono a causa di essa, come abbiamo sentito anche poco fa. A chi la domenica
mattina deve decidere se andare a Messa perché sa che andando a Messa rischia la vita.
A chi si sente accerchiato e discriminato per la fede cristiana in tante, troppe parti
del nostro mondo. Davanti a queste situazioni ci pare che il mio confessare, la nostra
testimonianza sia timida e impacciata. Vorremmo fare di più, ma cosa? E come aiutare
questi nostri fratelli? Come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla,
o ben poco, per cambiare il loro contesto politico e sociale?
Risposte del
Santo Padre Francesco
Buonasera a tutti!
Sono contento di incontrarvi
e che tutti noi ci incontriamo in questa piazza per pregare, per essere uniti e per
aspettare il dono dello Spirito. Io conoscevo le vostre domande e ci ho pensato –
questo, quindi, non è senza conoscenza! Primo, la verità! Le ho qui, scritte.
La
prima - “come lei ha potuto raggiungere nella sua vita la certezza sulla fede; e quale
strada ci indica perché ciascuno di noi possa vincere la fragilità della fede?” -
è una domanda storica, perché riguarda la mia storia, la storia della mia vita!
Io
ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice
e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna, la mamma di mio padre, che ha segnato
il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava
il Catechismo. Ricordo sempre che il Venerdì Santo ci portava, la sera, alla processione
delle candele, e alla fine di questa processione arrivava il “Cristo giacente”, e
la nonna ci faceva – a noi bambini – inginocchiare e ci diceva: “Guardate, è morto,
ma domani risuscita”. Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa donna,
da mia nonna! E’ bellissimo, questo! Il primo annuncio in casa, con la famiglia! E
questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e di tante nonne nella trasmissione
della fede. Sono loro che trasmettono la fede. Questo avveniva anche nei primi tempi,
perché san Paolo diceva a Timoteo: “Io ricordo la fede della tua mamma e della tua
nonna” (cfr 2Tm 1,5). Tutte le mamme che sono qui, tutte le nonne, pensate a questo!
Trasmettere la fede. Perché Dio ci mette accanto delle persone che aiutano il nostro
cammino di fede. Noi non troviamo la fede nell’astratto; no! E’ sempre una persona
che predica, che ci dice chi è Gesù, che ci trasmette la fede, ci dà il primo annuncio.
E così è stata la prima esperienza di fede che ho avuto.
Ma c’è un giorno
per me molto importante: il 21 settembre del ‘53. Avevo quasi 17 anni. Era il “Giorno
dello studente”, per noi il giorno della Primavera – da voi è il giorno dell’Autunno.
Prima di andare alla festa, sono passato nella parrocchia dove andavo, ho trovato
un prete, che non conoscevo, e ho sentito la necessità di confessarmi. Questa è stata
per me un’esperienza di incontro: ho trovato che qualcuno mi aspettava. Ma non so
cosa sia successo, non ricordo, non so proprio perché fosse quel prete là, che non
conoscevo, perché avessi sentito questa voglia di confessarmi, ma la verità è che
qualcuno m’aspettava. Mi stava aspettando da tempo. Dopo la Confessione ho sentito
che qualcosa era cambiato. Io non ero lo stesso. Avevo sentito proprio come una voce,
una chiamata: ero convinto che dovessi diventare sacerdote. Questa esperienza nella
fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere
perdono, ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo
una parola che spiega bene questo: “Il Signore sempre ci primerea”, è primo, ci sta
aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta aspettando.
Tu vai peccatore, ma Lui ti sta aspettando per perdonarti. Questa è l’esperienza che
i Profeti di Israele descrivevano dicendo che il Signore è come il fiore di mandorlo,
il primo fiore della Primavera (cfr Ger 1,11-12). Prima che vengano gli altri fiori,
c’è lui: lui che aspetta. Il Signore ci aspetta. E quando noi Lo cerchiamo, troviamo
questa realtà: che è Lui ad aspettarci per accoglierci, per darci il suo amore. E
questo ti porta nel cuore uno stupore tale che non lo credi, e così va crescendo la
fede! Con l’incontro con una persona, con l’incontro con il Signore. Qualcuno dirà:
“No, io preferisco studiare la fede nei libri!”. E’ importante studiarla, ma, guarda,
questo solo non basta! L’importante è l’incontro con Gesù, l’incontro con Lui, e questo
ti dà la fede, perché è proprio Lui che te la dà! Anche voi parlavate della fragilità
della fede, come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità - è
curioso, eh? - è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, e lo sappiamo. Ma
Lui è più forte! Se tu vai con Lui, non c’è problema! Un bambino è fragilissimo -
ne ho visti tanti, oggi -, ma era con il papà, con la mamma: è al sicuro! Con il Signore
siamo sicuri. La fede cresce con il Signore, proprio dalla mano del Signore; questo
ci fa crescere e ci rende forti. Ma se noi pensiamo di poterci arrangiare da soli…
Pensiamo che cosa è successo a Pietro: “Signore, io mai ti rinnegherò!” (cfr Mt 26,33-35);
e poi ha cantato il gallo e l’aveva rinnegato per tre volte! (cfr vv. 69-75). Pensiamo:
quando noi abbiamo troppa fiducia in noi stessi, siamo più fragili, più fragili. Sempre
con il Signore! E dire con il Signore significa dire con l’Eucaristia, con la Bibbia,
con la preghiera… ma anche in famiglia, anche con la mamma, anche con lei, perché
lei è quella che ci porta al Signore; è la madre, è quella che sa tutto. Quindi pregare
anche la Madonna e chiederle che, come mamma, mi faccia forte. Questo è quello che
io penso sulla fragilità, almeno è la mia esperienza. Una cosa che mi rende forte
tutti i giorni è pregare il Rosario alla Madonna. Io sento una forza tanto grande
perché vado da lei e mi sento forte.
Passiamo alla seconda domanda.
“Penso
che tutti noi qui presenti sentiamo fortemente la sfida, la sfida della evangelizzazione,
che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo vorrei chiedere a Lei, Padre Santo,
di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa sfida nel nostro tempo, qual
è per lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità
dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati. Come possiamo comunicare
in modo efficace la fede di oggi?”.
Dirò soltanto tre parole. La prima:
Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione,
con altre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti, la cosa non va.
Gesù è più importante. Adesso, vorrei fare un piccolo rimprovero, ma fraternamente,
tra noi. Tutti voi avete gridato nella piazza “Francesco, Francesco, Papa Francesco”.
Ma, Gesù dov’era? Io avrei voluto che voi gridaste: “Gesù, Gesù è il Signore, ed è
proprio in mezzo a noi!”. Da qui in avanti, niente “Francesco”, ma “Gesù”! La seconda
parola è: la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto – e questo è collegato
con quello che ho detto prima – sentirsi guardati. Il Signore ci guarda: ci guarda
prima. La mia esperienza è ciò che sperimento davanti al sagrario [Tabernacolo] quando
vado a pregare, la sera, davanti al Signore. Alcune volte mi addormento un pochettino;
questo è vero, perché un po’ la stanchezza della giornata ti fa addormentare. Ma Lui
mi capisce. E sento tanto conforto quando penso che Lui mi guarda. Noi pensiamo che
dobbiamo pregare, parlare, parlare, parlare… No! Làsciati guardare dal Signore. Quando
Lui ci guarda, ci dà forza e ci aiuta a testimoniarlo - perché la domanda era sulla
testimonianza della fede, no? Primo “Gesù”, poi “preghiera” - sentiamo che Dio ci
sta tenendo per mano. Sottolineo allora l’importanza di questo: lasciarsi guidare
da Lui. Questo è più importante di qualsiasi calcolo. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci
guidare da Lui. Pensiamo a Pietro; forse stava facendo la siesta, dopo pranzo, e ha
avuto una visione, la visione della tovaglia con tutti gli animali, e ha sentito che
Gesù gli diceva qualcosa, ma lui non capiva. In quel momento, sono venuti alcuni non-ebrei
a chiamarlo per andare in una casa, e ha visto come lo Spirito Santo era laggiù. Pietro
si è lasciato guidare da Gesù per giungere a quella prima evangelizzazione ai gentili,
che non erano ebrei: una cosa inimmaginabile in quel tempo (cfr At 10,9-33). E così,
tutta la storia, tutta la storia! Lasciarsi guidare da Gesù. E’ proprio il leader;
il nostro leader è Gesù. E terza: la testimonianza. Gesù, preghiera – la preghiera,
quel lasciarsi guidare da Lui – e poi testimonianza. Ma vorrei aggiungere qualcosa.
Questo lasciarsi guidare da Gesù ti porta alle sorprese di Gesù. Si può pensare che
l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo
dei piani. Ma questi sono strumenti, piccoli strumenti. L’importante è Gesù e lasciarsi
guidare da Lui. Poi possiamo fare le strategie, ma questo è secondario. Infine, la
testimonianza: la comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza,
e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria
esistenza e che lo Spirito Santo fa vivere dentro di noi. E’ come una sinergia fra
noi e lo Spirito Santo, e questo conduce alla testimonianza. La Chiesa la portano
avanti i Santi, che sono proprio coloro che danno questa testimonianza. Come ha detto
Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI, il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni.
Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la
vita: la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita che è
vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come
un fatto sociale. Socialmente siamo così, siamo cristiani, chiusi in noi. No, questo
no! La testimonianza!
La terza domanda: “Vorrei chiederle, Padre Santo, come
io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri. In che modo l’uomo
sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti, come movimenti, associazioni
laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società
per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica” – questo è importante!
– “il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?”.
Riprendo dalla testimonianza. Prima di tutto, vivere il Vangelo è il principale
contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura
ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una
ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo
siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo.
Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti. No, quello
è un altro valore. Il valore della Chiesa, fondamentalmente, è vivere il Vangelo e
dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo,
è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima
di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà,
della condivisione. Quando si sentono alcuni dire che la solidarietà non è un valore,
ma è un “atteggiamento primario” che deve sparire… questo non va! Si sta pensando
ad un’efficacia soltanto mondana. I momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo
– ma tu hai detto prima che “siamo in un mondo di menzogne” –, questo momento di crisi,
stiamo attenti, non consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale.
E’ una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo! E ciò che può essere distrutto
è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di Dio! Per questo è una crisi profonda! In questo
momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella
solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Non
chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli
amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che
cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una
stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose
che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa
deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano,
ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza
del Vangelo!” (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere
quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un
incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in
un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! Pensate
anche a quello che dice l’Apocalisse. Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e
chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso dell’Apocalisse.
Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire,
per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante
volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e
non liberi figli di Dio? In questa “uscita” è importante andare all’incontro; questa
parola per me è molto importante: l’incontro con gli altri. Perché? Perché la fede
è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare
gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione,
una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto.
Ma su questo punto, vi invito a pensare – ed è parte della crisi – agli anziani, che
sono la saggezza di un popolo, ai bambini… la cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo
andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”,
una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare
anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra
fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini
di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra
appartenenza. E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi,
troviamo la povertà. Oggi – questo fa male al cuore dirlo – oggi, trovare un barbone
morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo:
ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è
notizia. Questo è grave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah…
le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani
troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli.
No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono
proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Quando io vado a confessare
- ancora non posso, perché per uscire a confessare… di qui non si può uscire, ma questo
è un altro problema - quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano
alcuni e sempre facevo questa domanda: “Ma, lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah,
bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda
negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”.
Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà
l’elemosina, o gli getta la moneta?”. Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare
la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per
noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una
categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di
Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa
è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato
il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia
con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo
a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E
questo non è facile. Ma c’è un problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del
mondo, lo spirito mondano, la mondanità spirituale. Questo ci porta ad una sufficienza,
a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù. La domanda che facevate voi: come
si deve vivere per affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello
di sviluppo, la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge
l’uomo, è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica. Nella vita pubblica, nella politica,
se non c’è l’etica, un’etica di riferimento, tutto è possibile e tutto si può fare.
E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica
faccia tanto male all’umanità intera. Vorrei raccontarvi una storia. L’ho fatto già
due volte questa settimana, ma lo farò una terza volta con voi. E’ la storia che racconta
un midrash biblico di un Rabbino del secolo XII. Lui narra la storia della costruzione
della Torre di Babele e dice che, per costruire la Torre di Babele, era necessario
fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare, impastare il fango, portare la
paglia, fare tutto… poi, al forno. E quando il mattone era fatto doveva essere portato
su, per la costruzione della Torre di Babele. Un mattone era un tesoro, per tutto
il lavoro che ci voleva per farlo. Quando cadeva un mattone, era una tragedia nazionale
e l’operaio colpevole era punito; era tanto prezioso un mattone che se cadeva era
un dramma. Ma se cadeva un operaio, non succedeva niente, era un’altra cosa. Questo
succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’… tragedia… come si fa?
Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non
fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera
per i poveri va contro questa mentalità.
La quarta domanda: “Davanti a queste
situazioni, mi pare che il mio confessare, la mia testimonianza sia timida e impacciata.
Vorrei fare di più, ma cosa? E come aiutare questi nostri fratelli, come alleviare
la loro sofferenza non potendo fare nulla o ben poco per cambiare il loro contesto
politico-sociale?”.
Per annunciare il Vangelo sono necessarie due virtù: il
coraggio e la pazienza. Loro [i cristiani che soffrono] sono nella Chiesa della pazienza.
Loro soffrono e ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa; più martiri!
Fratelli e sorelle nostri. Soffrono! Loro portano la fede fino al martirio. Ma il
martirio non è mai una sconfitta; il martirio è il grado più alto della testimonianza
che noi dobbiamo dare. Noi siamo in cammino verso il martirio, dei piccoli martìri:
rinunciare a questo, fare questo… ma siamo in cammino. E loro, poveretti, danno la
vita, ma la danno – come abbiamo sentito la situazione nel Pakistan – per amore a
Gesù, testimoniando Gesù. Un cristiano deve sempre avere questo atteggiamento di mitezza,
di umiltà, proprio l’atteggiamento che hanno loro, confidando in Gesù, affidandosi
a Gesù. Bisogna precisare che tante volte questi conflitti non hanno un’origine religiosa;
spesso ci sono altre cause, di tipo sociale e politico, e purtroppo le appartenenze
religiose vengono utilizzate come benzina sul fuoco. Un cristiano deve saper sempre
rispondere al male con il bene, anche se spesso è difficile. Noi cerchiamo di far
sentire loro, a questi fratelli e sorelle, che siamo profondamente uniti – profondamente
uniti! – alla loro situazione, che noi sappiamo che sono cristiani “entrati nella
pazienza”. Quando Gesù va incontro alla Passione, entra nella pazienza. Loro sono
entrati nella pazienza: farlo sapere a loro, ma anche farlo sapere al Signore. Vi
pongo la domanda: pregate per questi fratelli e queste sorelle? Voi pregate per loro?
Nella preghiera di tutti i giorni? Io non chiederò ora che alzi la mano colui che
prega: no. Non lo chiederò, adesso. Ma pensatelo bene. Nella preghiera di tutti i
giorni diciamo a Gesù: “Signore, guarda questo fratello, guarda a questa sorella che
soffre tanto, che soffre tanto!”. Loro fanno l’esperienza del limite, proprio del
limite tra la vita e la morte. E anche per noi: questa esperienza deve portarci a
promuovere la libertà religiosa per tutti, per tutti! Ogni uomo e ogni donna devono
essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Perché? Perché
quell’uomo e quella donna sono figli di Dio. E così, credo di avere detto qualcosa
sulle vostre domande; mi scuso se sono stato troppo lungo. Grazie tante! Grazie a
voi, e non dimenticate: niente di una Chiesa chiusa, ma una Chiesa che va fuori, che
va alle periferie dell’esistenza. Che il Signore ci guidi laggiù. Grazie.