Il coraggio della fede e la centralità dell'uomo: così Papa Francesco alla Veglia,
ieri sera, in Piazza San Pietro
Avere il coraggio della fede senza essere cristiani inamidati, costruire una cultura
dell’incontro, aiutare il prossimo soprattutto le famiglie, il cui destino è più importante
dei bilanci delle banche. Questo in sintesi quanto espresso da Papa Francesco nel
discorso rivolto ieri sera alle circa 200 mila persone che hanno gremito Piazza San
Pietro per partecipare alla Veglia di Pentecoste dedicata ai Movimenti, le nuove Comunità,
le Associazioni e le Aggregazioni laicali. Forti anche le parole del Pontefice sulle
persecuzioni contro i cristiani nel mondo: ci sono più martiri oggi - ha detto - che
nei primi secoli della Chiesa. Il servizio di Adriana Masotti:
“Almeno 150
diverse realtà ecclesiali, realtà ben conosciute e radicate, ma anche nuove realtà
sorte per la chiamata alla nuova evangelizzazione. Vengono da ogni parte del mondo
e attestano il grande dono che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa in questi cinquant’anni
dall’inizio del Concilio”. E’ mons. Rino Fisichella, presidente del dicastero per
la Nuova Evangelizzazione, a presentare al Papa la piazza “riempita, dice, all’inverosimile”.
Ciò che ha spinto quanti sono qui, continua, “è ricercare la via più idonea e coerente
per vivere e testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi”.
Dell’impegno a vivere
coerentemente il Vangelo avevano dato testimonianza poco prima aderenti a Rinnovamento
nello Spirito, Movimento dei Focolari, Cellule parrocchiali di animazione, Nuovi orizzonti,
Comunione e Liberazione, Neocatecumenali e Sant’Egidio. Parlano del superamento delle
difficoltà all’interno della vita di coppia e di famiglia, del passaggio da una vita
lontana dalla fede all’incontro con Cristo, dell’annuncio del Vangelo nel proprio
ambiente di studio e di lavoro, dell’incontro con Gesù nei poveri. Saranno poi Paul
Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze del governo pakistano,
ucciso da estremisti islamici a 43 anni, e John Waters, scrittore e giornalista irlandese,
passato da anni di lontananza alla fede, a raccontare di sé di fronte al Papa: “Sono
molto grato a Papa Francesco per avermi dato l’opportunità di condividere, con tutti
voi, i dolori e le speranze dei cristiani del Pakistan", esordisce Paul Bhatti:
“Nel
mio Paese, i cristiani sono una piccola minoranza, molto povera. … Molte volte i cristiani
sono soggetti a discriminazioni, e anche violenze. … Ma, come discepoli di Gesù, vogliamo
essere uomini di pace, in dialogo con i nostri fratelli musulmani e delle altre religioni.
Vogliamo testimoniare con l’amore e la misericordia la nostra fede in Gesù. E’ stata
questa la testimonianza del mio fratello più giovane, Shahbaz Bhatti, che ha dato
tutta la sua vita per il Vangelo”.
Per tutta la sua vita, racconta ancora,
"nonostante le minacce mio fratello è stato fedele alla sua missione di essere vicino
ai poveri, di testimoniare l’amore di Gesù nella società violenta del Pakistan, e
le sue parole e i suoi gesti hanno dato coraggio ai cristiani pakistani". Ora tanti
hanno raccolto la sua testimonianza e “vogliono continuare a testimoniare il Vangelo
della mitezza, del dialogo, dell’amore per i nemici”.
“Questa è la storia della
mia vita, una vita vissuta dentro la falsa realtà che l’uomo ha costruito per sentirsi
sicuro”, dichiara John Waters raccontando come a lungo avesse creduto che Dio
fosse incompatibile con la sua ricerca della libertà. Poi la scoperta di quanto una
vita senza di Lui fosse insoddisfacente:
“La natura dell'uomo è una
continua domanda. Tu e io siamo fatti di desiderio. Non siamo fatti per accontentarci
di una soddisfazione timida e fiacca…Questo è il motivo per cui Gesù
è venuto fra noi: per mostrarci tutto quello che la vita umana può essere”.
Aiutato da alcuni amici, conclude, Waters: “Ho imparato che il desiderio
della Grandezza di Dio non era un bel concetto astratto, ma un fatto al centro della
mia struttura e della mia natura … conoscere Cristo è conoscere me stesso, capire
come sono fatto e diventare libero”.
Alle 17.30, l’arrivo di Papa Francesco
nella piazza. Per mezz’ora percorre con la jeep bianca scoperta tutti i settori stracolmi
e parte di via della Conciliazione. Poi, salito sul sagrato, il momento tanto atteso
del dialogo tra lui e le migliaia di persone presenti. Non un intervento scritto,
ma la risposta a braccio a quattro domande.
Alla prima: “Come ha potuto raggiungere
Lei nella Sua vita la certezza sulla fede?”, il Papa risponde:
“Ho ricevuto
il primo annuncio cristiano proprio dalla mia nonna, no?, è bellissimo, quello! Il
primo annuncio in casa, con la famiglia. E questo mi fa pensare all’amore di tante
mamme e tante nonne, nella trasmissione della fede. Noi non troviamo la fede un po’
nell’astratto, no: sempre è una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, ti da
la fede, ti da il primo annuncio... E questa esperienza della fede è importante. Noi
diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono … ma quando noi
andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! …. Voi parlavate della fragilità della fede:
come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità, è curioso, eh?,
è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, ma lo sappiamo. Ma Lui è più forte!
Come
possiamo comunicare in modo efficace la fede oggi? E’ la seconda domanda:
"Dirò
tre parole soltanto. Primo: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo
avanti con l'organizzazione, con altre cose, con belle cose, pure, ma senza Gesù,
non andiamo, la cosa non va. La seconda parola è la preghiera. Guardare il volto di
Dio, ma soprattutto, e questo è collegato con quello che ho detto prima, sentirsi
guardati. Quando Lui ci guarda, ci da forza. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci
guidare da Lui. E terzo, la testimonianza".
Alla domanda: “Come possiamo
vivere una Chiesa povera e per i poveri? Quale contributo possiamo dare per affrontare
la grave crisi di oggi? Papa Francesco risponde che vivere il Vangelo è il primo contributo
che possiamo dare, e poi continua:
"La Chiesa non è un movimento politico,
né una struttura ben organizzata: non è quello. Noi non siamo una ong, e quando la
Chiesa diventa una ong perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione".
"Confessare
la fede: tanti nostri fratelli soffrono a causa di essa. Vorrei fare di più: ma che
cosa?". A quest'ultima domanda, il Papa invita tutti ad avere il coraggio che viene
da Dio, per annunciare il Vangelo, e la pazienza per sopportare le difficoltà, e conclude:
"Loro
soffrono, e ci sono più martiri oggi, che nei primi secoli della Chiesa. Più martiri.
Fratelli e sorelle nostri. Soffrono. Ma il martirio non è mai una sconfitta: il martirio
è il grado più alto della testimonianza che noi dobbiamo dare. E anche noi, questa
esperienza ci deve portare a promuovere la libertà religiosa, per tutti, per tutti:
ogni uomo e ogni donna deve essere libero nella sua confessione religiosa, qualsiasi
sia".