2013-05-17 14:59:00

Siria: faccia a faccia tra Ban Ki-moon e Putin. Acnur: in aumento il numero di profughi


Incontro sulla Siria oggi a Sochi, in Russia, tra il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e il presidente russo, Vladimir Putin. Ban si è detto d’accordo nel sostenere l'idea russa di un’egida delle Nazioni Unite per la Conferenza internazionale di pace sulla Siria, in programma a giugno a Ginevra. Intanto, Mosca ha chiesto la partecipazione di Iran e Arabia Saudita al summit svizzero, mentre il numero uno dell’Onu ha sollecitato Damasco a far entrare nel Paese entro pochi giorni gli esperti delle Nazioni Unite sulle armi chimiche. Intanto, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha reso noto che il numero dei profughi siriani registrati o in attesa di registrazione è di oltre un milione e mezzo di persone. Tra i Paesi più colpiti dall’ondata di rifugiati, c’è sicuramente il Libano, con oltre un milione di persone giunte dalla Siria. Salvatore Sabatino ha intervistato mons. Mansour Hobeika, vescovo di Zahleh dei Maroniti:RealAudioMP3

R. – Io vivo in una città che si chiama Zahleh, è una città a circa 20 km dalla frontiera con la Siria, abbastanza vicina a Damasco. I profughi vengono con molta facilità a causa della vicinanza e a causa della mancanza di regolamenti scritti per le frontiere. Vengono con facilità e si installano nella città o nelle vicinanze.

D. – Come vengono accolti dalla popolazione locale?

R. - Quelli che vengono nella città sono cristiani. Ci sono circa 600 famiglie, sono state molto bene accolte e aiutate sia dalla Caritas, che da altri enti o dalla Chiesa locale, per quello che è nelle nostre possibilità.

D. – Quali difficoltà si riscontrano nella quotidianità?

R. - Primo, i bisogni finanziari per le spese quotidiane di una famiglia: per mangiare, per i medicinali, per trovare alloggio e beni di prima necessità.

D. - C’è un senso di solidarietà da parte dei libanesi?

R. – Molto. E' questo che aiuta in primo luogo: sono i cittadini che aiutano i profughi. Poi anche gli organismi come la Caritas, che lavora bene, e altri enti come il "Catholic Relief Service".

D. – Ci sono polemiche per quanto riguarda invece gli aiuti da parte dello Stato. Sappiamo che il governo libanese in questo momento è dimissionario. Chi si sta occupando di questo problema in maniera istituzionale?

R. – Il governo aiuta poco, non perché sia dimissionario ma perché non ha abbastanza soldi. E’ un piccolo Paese, in uno stato economico debole. Il governo non smette di chiedere aiuti internazionali. Ci sono promesse, ma poche realizzazioni. Gli aiuti non arrivano in maniera sufficiente. Il governo non può aiutare di più. Già aiuta alcuni ospedali che accolgono gratuitamente i malati e i feriti di guerra in arrivo dalla Siria. Il pane che si vende sul mercato ai libanesi, ai siriani, è un pane sostenuto dallo Stato. Dunque, lo Stato spende molti soldi. Il petrolio anche, e così altro. Sono aiuti indiretti e insufficienti, ma lo Stato non può fare meglio.

D. – Abbiamo visto, tanti gli appelli alla comunità internazionale, anche se gli aiuti non stanno arrivando. Qual è il suo personale appello in questo momento?

R. – Almeno per quello che riguarda gli enti cristiani, dovrebbero essere aiutati meglio perché possano lavorare di più e guardare ai bisogni più forti. In questo grande numero di profughi, circa un milione, ci sono forse 100 mila persone, 200 mila persone in grande difficoltà e queste devono essere specialmente conosciute e aiutate, se no avranno fame e potrebbero morire di malattie.







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