Siria: faccia a faccia tra Ban Ki-moon e Putin. Acnur: in aumento il numero di profughi
Incontro sulla Siria oggi a Sochi, in Russia, tra il segretario generale dell’Onu,
Ban Ki-moon, e il presidente russo, Vladimir Putin. Ban si è detto d’accordo nel sostenere
l'idea russa di un’egida delle Nazioni Unite per la Conferenza internazionale di pace
sulla Siria, in programma a giugno a Ginevra. Intanto, Mosca ha chiesto la partecipazione
di Iran e Arabia Saudita al summit svizzero, mentre il numero uno dell’Onu ha sollecitato
Damasco a far entrare nel Paese entro pochi giorni gli esperti delle Nazioni Unite
sulle armi chimiche. Intanto, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha reso noto
che il numero dei profughi siriani registrati o in attesa di registrazione è di oltre
un milione e mezzo di persone. Tra i Paesi più colpiti dall’ondata di rifugiati, c’è
sicuramente il Libano, con oltre un milione di persone giunte dalla Siria. Salvatore
Sabatino ha intervistato mons.Mansour Hobeika, vescovo di Zahleh
dei Maroniti:
R. – Io vivo
in una città che si chiama Zahleh, è una città a circa 20 km dalla frontiera con la
Siria, abbastanza vicina a Damasco. I profughi vengono con molta facilità a causa
della vicinanza e a causa della mancanza di regolamenti scritti per le frontiere.
Vengono con facilità e si installano nella città o nelle vicinanze.
D. – Come
vengono accolti dalla popolazione locale?
R. - Quelli che vengono nella città
sono cristiani. Ci sono circa 600 famiglie, sono state molto bene accolte e aiutate
sia dalla Caritas, che da altri enti o dalla Chiesa locale, per quello che è nelle
nostre possibilità.
D. – Quali difficoltà si riscontrano nella quotidianità?
R.
- Primo, i bisogni finanziari per le spese quotidiane di una famiglia: per mangiare,
per i medicinali, per trovare alloggio e beni di prima necessità.
D. - C’è
un senso di solidarietà da parte dei libanesi?
R. – Molto. E' questo che aiuta
in primo luogo: sono i cittadini che aiutano i profughi. Poi anche gli organismi come
la Caritas, che lavora bene, e altri enti come il "Catholic Relief Service".
D.
– Ci sono polemiche per quanto riguarda invece gli aiuti da parte dello Stato. Sappiamo
che il governo libanese in questo momento è dimissionario. Chi si sta occupando di
questo problema in maniera istituzionale?
R. – Il governo aiuta poco, non perché
sia dimissionario ma perché non ha abbastanza soldi. E’ un piccolo Paese, in uno stato
economico debole. Il governo non smette di chiedere aiuti internazionali. Ci sono
promesse, ma poche realizzazioni. Gli aiuti non arrivano in maniera sufficiente. Il
governo non può aiutare di più. Già aiuta alcuni ospedali che accolgono gratuitamente
i malati e i feriti di guerra in arrivo dalla Siria. Il pane che si vende sul mercato
ai libanesi, ai siriani, è un pane sostenuto dallo Stato. Dunque, lo Stato spende
molti soldi. Il petrolio anche, e così altro. Sono aiuti indiretti e insufficienti,
ma lo Stato non può fare meglio.
D. – Abbiamo visto, tanti gli appelli alla
comunità internazionale, anche se gli aiuti non stanno arrivando. Qual è il suo personale
appello in questo momento?
R. – Almeno per quello che riguarda gli enti cristiani,
dovrebbero essere aiutati meglio perché possano lavorare di più e guardare ai bisogni
più forti. In questo grande numero di profughi, circa un milione, ci sono forse 100
mila persone, 200 mila persone in grande difficoltà e queste devono essere specialmente
conosciute e aiutate, se no avranno fame e potrebbero morire di malattie.