Al Festival del cinema di Cannes la violenza di una società che cambia
Alla 66.ma edizione del Festival di Cannes, dopo la proiezione de “Il grande Gatsby”
di Baz Luhrmann, che mette in scena una realtà romanzata trasponendo il celebre testo
di Scott Fitzgerald secondo un dispositivo pressoché fumettistico, i film della selezione
ufficiale prendono spunto da fatti di cronaca e intendono restare piuttosto fedeli
alla realtà. Ora, questa realtà ci dice che, sotto il cielo, il disordine è veramente
grande. Lo vediamo in “Heli” di Amat Escalante, che racconta in maniera secca e antispettacolare
l’implacabile cerchio della violenza che affligge il Messico contemporaneo. I suoi
protagonisti sono un giovane operaio, sua sorella dodicenne e un poliziotto adolescente,
autori di una tragica bravata sullo sfondo della cruenta guerra di posizione fra i
narcotrafficanti e le forze dell’ordine. L’orrore freddo delle azioni umane talvolta
prende alla gola, ma una scena, come una folgorante chiave di lettura, apre il cuore
alla compassione. Il giovane operaio che si aggira nella notte in preda alla furia
vendicativa, arriva a un altopiano desertico. La macchina da presa lo inquadra da
molto lontano e piano piano sale al cielo, coperto di stelle. Di fronte alla vastità
del creato che posto hanno l’uomo e le sue passioni? “Jeune & Jolie” di François Ozon
sprofonda invece gli spettatori nelle turbe adolescenziali di una giovane parigina
che sceglie di prostituirsi come supremo atto di trasgressione e di sfida. Qui il
tema è delicato e spesso la macchina da presa rischia l’osceno, ma il cineasta è bravo
nel mettere in scena la torpida indifferenza della sua protagonista. Fino alla magnifica
scena dell’incontro fra la ragazza e la moglie di un anziano cliente morto fra le
sua braccia, dove la tenerezza di un gesto compie il miracolo di una coscienza ritrovata.
Ma è la Cina, rappresentata dal regista Jia Zhangke in “A Touch of Sin”, a darci il
senso più profondo della mutazione del mondo contemporaneo, laddove il perverso intreccio
fra una burocrazia post-comunista e un abbraccio globale al sistema capitalistico
hanno reso gli esseri umani schiavi di un gioco al massacro. Quattro personaggi disegnano
la scacchiera del nuovo territorio sociale, un minatore esasperato dalla corruzione,
un emigrato col gusto delle armi, una giovane addetta a una sauna perseguitata da
un ricco cliente, un operaio segnato da lavori sempre più degradanti. Le loro storie
s’innestano l’una nell’altra come nel più classico gioco delle scatole cinesi. La
continuità è data dall’umiliazione, dalla liquidazione della memoria, dall’irresistibile
impulso di farsi giustizia da sé. Il cineasta è bravissimo a costruire gli spazi e
i tempi delle azioni, gli attori entrano perfettamente nei panni dei personaggi, lo
spettatore guarda e pensa al mondo che verrà. (Da Cannes, Luciano Barisone)