Siria: risoluzione dell'Onu per la fine del conflitto ma le violenze continuano
Dura presa di posizione dell’Onu sulla crisi siriana. Ieri l’Assemblea Generale in
una risoluzione ha chiesto la fine immediata delle violenze e l’avvio di un processo
di transizione e di democratizzazione. Intanto, sul terreno si continua a morire.
Il servizio di Marina Calculli:
Con una risoluzione
approvata da 107 voti favorevoli a fronte di 12 contrari e 59 astenuti, ieri l’Assemblea
generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’opposizione come un interlocutore effettivo
e rappresentativo della Siria. L’Assemblea le ha conferito, dunque, un vasto riconoscimento
internazionale ma differentemente dalla Lega Araba non le ha accordato l’esclusività
nel rappresentare legittimamente il popolo siriano. Cautela, dunque, anche per il
proliferare di nuovi attori nel mosaico del fronte politico anti-Asad. Si tratta piuttosto
di una nuova risonante condanna nei confronti del regime e della ennesima recente
escalation del conflitto. La risoluzione inoltre fa appello perché si dia avvio ad
un processo di transizione politica senza però accennare alle sorti di Bashar, fino
ad ora uno dei principali freni per una transizione negoziata. Ieri intanto il cuore
di Damasco ha tremato. Un’esplosione è avvenuta di fronte alla storica e antica moschea
degli Ommayadi. Anche sul Golan la tensione cresce mentre ieri per la sesta volta
dall’inizio del conflitto il web si è oscurato in tutto il Paese.
Dopo
l’annuncio di una prossima conferenza internazionale a Ginevra sulla Siria a livello
ministeriale, torna in evidenza quello che sarà il ruolo nel prossimo futuro del presidente
Assad. Intanto, sul fronte diplomatico spicca l’iniziativa di Stati Uniti e Russia
di tenere prossimamente a Ginevra una nuova Conferenza internazionale sulla Siria.
Su questa svolta diplomatica e su quale effetto potrebbe avere sulla crisi siriana,Giancarlo
La Vella ne ha parlato con Eric Salerno, esperto di Medio Oriente del quotidiano
“Il Messaggero”:
R. - È positivo,
soprattutto perché intanto è stato annunciato che sarà a livello ministeriale e questo
tiene fuori i capi di Stato e giustifica, quindi, anche tener fuori il presidente
siriano Assad. Altro elemento importante è che probabilmente saranno presenti anche
Iran e Arabia Saudita, i due Paesi che erano rimasti fuori dalla Conferenza precedente
e che hanno invece un peso importante in tutto quello che sta accadendo in questo
momento in Medio Oriente. Per cui, la loro presenza serve a bilanciare e a portar
dentro soprattutto i protagonisti di questa "primavera araba" che si è trasformata
per alcuni Paesi in un grande disastro.
D. - Il fatto che sia stata sottolineata
l’assenza del presidente Assad vuol dire che in qualche modo si sta pensando a un’uscita
di scena per così dire “morbida” del capo di Stato siriano?
R. - Io direi che
questo è ciò che tutti sperano di riuscire a fare. Il personaggio è ormai screditato.
Ha dimostrato, anche a livello politico, di non essere stato capace di gestire quella
che era cominciata come una rivolta popolare - direi quasi "democratica", una manifestazione
di piazza senza armi, senza violenza contro il suo regime - facendola poi scivolare
in qualcosa di molto più grave di una guerra civile. Oggi, la preoccupazione per la
Siria non è soltanto il fatto che i siriani si stiano ammazzando tra di loro, ma il
fatto grave è che, accanto a persone della società civile siriana, nel Paese siano
entrati e conducano questa guerra anche elementi "qaedisti" e altri gruppi islamici
violenti, che vorrebbero impossessarsi della Siria.
D. - Si stanno stringendo
i tempi per i negoziati forse a causa del nuovo bilancio delle vittime? Ormai si parla
di 100 mila morti, forse anche di più: numeri quasi da guerra mondiale...
R.
- Indubbiamente, questo è uno dei motivi. Un altro dei motivi è che in queste settimane
si è parlato di un probabile uso di armi chimiche, sia da parte del regime contro
i ribelli, sia da parte dei ribelli nei confronti della popolazione civile o del regime.
E questo grosso punto interrogativo crea dei problemi soprattutto per il presidente
americano Obama, che aveva evidenziato già tempo fa quell'opzione come la “linea rossa”
che, se superata, costringerebbe gli americani ad intervenire. Ovviamente, Obama non
vuole intervenire. Ha già visto l’errore compiuto nell’intervento internazionale sulla
Libia, che oggi si trova nel caos più totale. Inoltre, anche altre potenze capiscono
che l’intervento militare contro Assad sarebbe oggi un errore gravissimo.