2013-05-16 15:40:40

"Le città dei non luoghi": il corso del Centro Astalli contro la marginalizzazione dei rifugiati


La difficile vita dei rifugiati nelle grandi aree urbane europee, le difformità legislative rispetto al tema della protezione e i possibili modelli di accoglienza da mettere in atto come sta accadendo in Francia col “Progetto Welcome”. Di tutto questo si è parlato, ieri, nell’incontro “Le città dei non luoghi”, organizzato dal Centro Astalli a Roma con la partecipazione di esperti dell’Ue. La tappa di ieri fa parte di un percorso di approfondimento sul tema che proseguirà fino alla fine mese. Ce ne parla Gabriella Ceraso:RealAudioMP3

Sono circa 200 mila, ogni anno, i rifugiati che chiedono protezione raggiungendo l’Unione Europea. Un quarto la ottiene; ignoto invece il numero di quanti muoiono in mare o su un camion o nelle prigioni di chi li sfrutta, li froda, li inganna. Sono reduci da guerre, persecuzioni e torture, sanno le difficoltà cui vanno incontro e comunque fuggono, e ciò che trovano nelle aree urbane – ed è un paradosso, almeno in Italia – non è un’opportunità, ma spesso è esclusione e solitudine, come spiega padre Giuseppe La Manna, presidente Centro Astalli:

“Perché la persona, se io non ho lavorato in maniera progettuale offrendo opportunità serie per l’autonomia, quando riceve il documento molto probabilmente deve lasciare il Centro, si ritrova un permesso di soggiorno che gli consente di rimanere sul territorio, ma a quella protezione riconosciuta su un pezzo di carta non corrisponde nessun aiuto: un lavoro, un alloggio, opportunità formative... Purtroppo no, tant’è vero che queste persone vanno in edifici occupati dove mancano i minimi requisiti per un’accoglienza dignitosa”.

In Europa il tipo di accoglienza varia da Paese a Paese, per lo più avviene in centri specializzati dove tempi e modalità cambiano. Isabella Moulet, della sezione francese del Servizio rifugiati dei Gesuiti:

“La Francia è un Paese che ha una lunga tradizione di accoglienza. Per esempio, era già relativamente pronta, malgrado il contesto di crisi, a questo tipo di accoglienza che per Paesi come la Spagna, come la Grecia è stato molto più difficile. I Paesi del Nord sono pragmatici, quindi hanno questo sistema molto legalista, molto strutturato. In Danimarca, per esempio, ci sono centri tenuti benissimo, con trattamenti umani; non si può dire la stessa cosa della Germania, per esempio, o di Malta”.

Possono passare da 6 mesi a tre anni per l’ottenimento dello statuto di rifugiato e questo lasso di tempo si può trasformare in esclusione, incomprensioni e violenze:

“Poco a poco sviluppano un sentimento giustificatissimo di rigetto, di marginalizzazione che fa sì che anche se ottengono i documenti, spesso non fanno più lo sforzo di integrarsi”.

Per rimediare a questo, la Francia ha avviato il “Progetto Welcome”, modello positivo di accoglienza che avviene nelle case o nei centri religiosi:

“Non accogliamoli soltanto in centri in cui comunque sono tra di loro e continuano a restare nel loro stato mentale di angoscia, di paura, di incertezza; accogliamoli in famiglie e in comunità religiose francesi, con le quali possono incominciare a condividere il quotidiano, la vita e avere un posto tranquillo in cui riposare la sera, poter andare tranquillamente ai loro corsi di francese, poter far domande su quello che succede proprio durante la giornata per capire, perché la culture sono completamente diverse. E abbiamo constatato che i rifugiati accolti nelle nostre famiglie ottengono lo statuto all’80 per cento. Il che significa che se una persona è nella condizione di dover difendere la propria posizione, di raccontare la propria storia e soprattutto di capire con quali parole raccontarla, perché il modo di esprimersi è totalmente diverso, ha molte più chance. Poi, chiaramente, per un rifugiato che è accolto in una famiglia, la controparte è che ci sono decine e decine di francesi che vengono in contatto con il rifugiato, con la sua vita, con il suo modo di pensare. La famiglia, poi, inviterà dei vicini, degli amici, i ragazzini ne parleranno a scuola con i compagni, se è una comunità religiosa le persone che frequentano la comunità cominceranno a conoscerlo … Quindi, diventa proprio un membro della società e una persona di cui si vede l’umanità e di cui si capisce meglio il percorso e meglio anche la difficoltà di integrazione. L’idea di base è proprio l’incontro di due universi che non si conoscono, che altrimenti non avrebbero nessun motivo e nessuna occasione di entrare in contatto e che hanno paure e diffidenze reciproche. Quindi, sormontare queste paure e queste diffidenze”.

In definitiva, cosa chiedere all’Europa in materia di accoglienza e di integrazione? Ancora padre Giuseppe La Manna, presidente del Centro Astalli:

“Chiederei, in sede di Unione Europea, di mettere fine alle politiche di contrasto dei flussi migratori, con l’impiego di quelle risorse a favore di un’accoglienza dignitosa, favorendo l’arrivo delle persone con canali umanitari sicuri, senza costringerle a rischiare la vita nella fuga e sottraendole ai trafficanti”.

In Italia, l’appello è ad uniformare e creare un’omogeneità:

“Sì, un sistema unico, unitario, con criteri che possano essere verificati per un’accoglienza dignitosa e rispettosa dei diritti di queste persone”.

Ultimo aggiornamento: 17 maggio







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