Siria: stimati oltre 94mila morti. Faccia a faccia sulla crisi tra Putin e Netanyahu
Sono oltre 94mila le vittime del conflitto siriano. Ad affermarlo gli attivisti dell'Osservatorio
siriano per i diritti umani, correggendo al rialzo la stima di due giorni fa, che
contava 82mila persone uccise. Il bilancio, in realtà, potrebbe essere ancora più
grave, arrivando fino a 120mila vittime, vista la reticenza di entrambe le parti a
fornire dati completi. Marina Calculli:
L’osservatorio
siriano per i diritti umani fa un bilancio delle vittime al rialzo rispetto alle ultime
stime divulgate dell’Onu: i morti dal 15 marzo 2011 sarebbero ormai oltre 94mila.
Fame, povertà e frustrazione all’interno di un Paese martoriato danno sfogo ad atti
di bestialità. Intanto mentre la diplomazia internazionale fa pressione su Bashar
Al Assad, lo stato dell’opposizione politica e militare al regime assomiglia sempre
più a un complesso mosaico. Ieri “l’Unione dei democratici siriani” ha annunciato
la sua nascita. Questo gruppo, che comprende alcune note figure intellettuali come
Michel Kilo, si è posto l’obiettivo di controbilanciare il montare del discorso islamista
tra le varie anime dell’opposizione. Il moltiplicarsi di gruppi però sfugge alla concretezza:
la Lega Araba - che pure aveva concesso alla Coalizione siriana di sedere alle assemblee
nel posto occupato dal regime prima del 2011 - ha annunciato che fino a quando non
si formerà un governo il seggio siriano rimarrà vuoto.
E di Siria si è parlato
ieri pure a Sochi, durante l’incontro tra il presidente russo Putin ed il premier
israeliano Netanyahu. I due leader hanno parlato del rischio di destabilizzazione
per l’intera regione e della necessità di un’azione politica per risolvere la crisi.
Sentiamo Giuseppe D’Amato:
Evitare azioni
che “possano ulteriormente destabilizzare il conflitto siriano”. Questo il consiglio
di Vladimir Putin al premier Netanyahu. Mosca si è mostrata particolarmente preoccupata
per i recenti attacchi aerei israeliani in territorio siriano. Netanyahu gli ha risposto
che il suo Paese mira alla pace con tutti i vicini, ma “sappiamo per esperienza, ha
detto il premier, che la pace la si fa solo con i forti, con quelli che sono in condizione
di difendersi”. Queste le dichiarazioni ufficiali. Nel corso dell’incontro a porte
chiuse, durato un’ora più del previsto, i russi sono stati messi al corrente della
situazione militare sul campo. Un autorevole quotidiano israeliano, citando una fonte
anonima nella propria delegazione, asserisce che si sarebbe parlato di armi chimiche
usate contro gli oppositori di Assad. Netanyahu avrebbe chiesto ai russi di non consegnare
i sistemi anti-missilistici SS-300, già acquistati dai siriani.
Intanto c’è
un clima d’attesa per la conferenza internazionale sulla Siria, annunciata da Obama,
probabilmente per giugno a Ginevra. Damasco aspetta di conoscere i dettagli del summit,
prima di decidere se aderire o meno, mentre un nuovo vertice dei cosiddetti “Amici
della Siria” si terrà la prossima settimana ad Amman, in Giordania, proprio per preparare
l’appuntamento di Ginevra. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Stefano
Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale:
R. - Evidentemente,
non è ancora chiaro in cosa consisterà questa Conferenza internazionale: non è chiaro,
per esempio, quali saranno le differenze con l’attuale consesso internazionale che
è quello degli “Amici della Siria”, e non è ancora chiaro neanche quali saranno i
veri protagonisti e i partecipanti a questa Conferenza. Il Comitato nazionale siriano,
che un po’ raggruppa tutti i ribelli contro il regime di Assad, ha fatto chiaramente
intendere che qualora non fosse reso esplicito nelle intenzioni di questa Conferenza
di cacciare Assad, o comunque di immaginare un futuro senza Assad per la Siria, non
è disposto a partecipare. D. - Che è poi la posizione della Turchia e di alcuni
Paesi arabi, come l’Egitto, l’Arabia Saudita e il Qatar: nessuno intende accettare
una transizione politica in Siria con la presenza di Bashar al-Assad... R. - Gli
attori regionali sembrano essere molto più propensi a una risoluzione anche armata,
come stanno dimostrando nel conflitto, e molto più intenzionati a far sì che il regime
di Assad cada o, nel caso di altri attori internazionali come l’Iran, che il regime
di Assad resti. E’ chiaro come le potenze e gli attori regionali sentano molto più
vicino questo conflitto e partecipino poi, in un modo o nell’altro, al conflitto molto
più di attori internazionali per i quali le ripercussioni del conflitto siriano, per
il momento, sono comunque abbastanza indirette. D. - Prendiamo la posizione degli
Stati Uniti: dopo l’incontro con il premier britannico Cameron, il presidente Obama
ha ribadito come la linea rossa sia indicata dall’uso o meno di armi chimiche. Queste
sono dichiarazioni che sono in ballo ormai da settimane… R. - Sì. La famosa "linea
rossa" che Obama aveva tracciato, oltre la quale - si diceva - non si sarebbe potuto
tollerare ancora l’azione repressiva del regime di Assad, non si capisce neanche bene
se sia stata superata realmente o no. Pochissimi giorni fa, settimane fa, gli Stati
Uniti hanno ufficialmente accusato il regime di Assad di aver effettivamente fatto
ricorso alle armi chimiche e molti analisti e osservatori hanno fatto notare che forse
non è stato un caso che soltanto un paio di giorni dopo sia stato compiuto il famoso
raid da parte di Israele all’interno della Siria - quasi un "messaggio", per interposta
persona, da parte degli Stati Uniti. Certo è che, nonostante tutto e nonostante le
minacce anche e gli avvertimenti fatti da Washington, sembra abbastanza chiaro che
in questo momento gli Stati Uniti non abbiano intenzione di intervenire direttamente
nel conflitto. Una delle motivazioni principali è quella di carattere strategico-economico:
negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti si sono già impegnati su due fronti - quello
iracheno e quello afghano - e le perdite umane, ma anche le risorse in termini finanziari
ed economici spese sono state tante, al punto tale che gli Stati Uniti oggi non potrebbero
permettersi il coinvolgimento in un altro conflitto. La mediazione più efficace potrebbe
essere soltanto quella - evidentemente - con la Russia, che a livello internazionale
è quella che è più di tutti è restia ad abbandonare completamente il regime di Assad. D.
- E’ evidente, in ogni caso, la terribile situazione di stallo in cui si è finiti,
con un conteggio ormai neanche più quantificabile di morti… R. - Sì. Secondo cifre
ufficiali dell’Onu, siamo ormai a più di 80 mila morti, secondo alcuni abbiamo addirittura
superato i 100 mila. E’ chiaro che non è neanche più tanto il numero, la quantità
in sé il vero nodo della questione, purtroppo. Il vero problema è questa situazione
di stallo completo che si è venuta a creare e che fatica a trovare una soluzione di
qualsiasi tipo. Se la situazione dovesse restare così, e quindi tutto dovesse essere
deciso soltanto dalle forze in campo, purtroppo credo che dovremmo aspettarci ancora
molte migliaia di vittime e chissà quanti mesi ancora di combattimenti, prima che
l’una o l’altra parte prevalga sull’altra.