Libia. Condanna per l'attentato di Bengasi. Gli Usa spostano 500 soldati a Sigonella
In Libia il governo condanna l’attentato di lunedì a Bengasi. Un’autobomba esplosa
nei pressi dell'ospedale Al Jala ha ucciso 15 persone e ne ha ferite 30. In questo
scenario, gli Stati Uniti hanno potenziato i militari nella base siciliana di Sigonella
per essere pronti ad intervenire nel caso di nuove minacce contro personale diplomatico,
dopo l’attentato al Consolato dell’11 settembre scorso. Un’operazione in linea con
gli accordi presi col governo italiano, dicono dalla base Usa. Il servizio di Massimiliano
Menichetti:
Cinquecento
marines americani sono stati trasferiti dalla Spagna nella base siciliana di
Sigonella. L’operazione è pensata – spiega il portavoce del Pentagono George Little
– per intervenire più rapidamente nel caso ci fossero nuovi attacchi in Libia. Solo
ieri, l'ennesimo attentato con autobomba ha scosso Bengasi: 15 morti, 30 i feriti
davanti l’ospedale Al Jala. La decisione statunitense segue le dichiarazioni del presidente
Obama, che ribadisce di non aver insabbiato i “fatti di Bengasi” dell’11 settembre
dello scorso anno, quando morirono in un assalto terroristico l'ambasciatore Usa in
Libia, Christopher Stevens, due marines e un funzionario. Negli Usa, sono riesplose
le polemiche sul mancato intervento militare che avrebbe forse potuto salvare la vita
degli uomini a Bengasi. "Siamo preparati a rispondere se necessario, se le condizioni
dovessero deteriorare o se venissimo chiamati ", ha sottolineato Little, precisando
che il Pentagono ha dispiegato più forze con il compito di interventi rapidi, per
proteggere ed eventualmente evacuare personale diplomatico nella base Nato in Italia.
Le forze spostate a Sigonella godono anche dell’appoggio di aerei per il trasporto
delle truppe in grado di decollare, come un elicottero, senza bisogno quindi di una
pista.
Sulla situazione in Libia, Massimiliano Menichetti ha raccolto
il commento di Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro studi internazionali:
R. – In Libia,
c’è una situazione di instabilità e di difficoltà estrema delle istituzioni nel gestire
il post-Gheddafi, che ormai si protrae da quasi due anni. Soprattutto, c’è una situazione
di instabilità alimentata sia dai gruppi – dalle milizie che non sono mai rientrate
nell’unico esercito libico – ma anche dai gruppi legati al panorama terroristico di
tipo "qaedista" e che in questo momento provengono un po’ da tutta la regione del
Nordafrica.
D. – Come si mettono insieme ricerca di democrazia, instabilità
e la necessità di costruire un sistema istituzionale?
R. – Diciamo che la Libia
è stata un po’ abbandonata a se stessa, dopo l’intervento internazionale. Si è creato
un vuoto di potere che in questo momento non trova una soluzione. La Libia è tornata
a essere quell’insieme di tribù che di fatto è sempre stata, e comunque di regioni
diverse: la Cirenaica, il Fez, la stessa Tripolitania. Ora, la difficoltà più grande
delle istituzioni libiche è quella di ricostruire il senso dello Stato, delle istituzioni
in grado di mantenere lo Stato unito.
D. – Ma quindi serve un appoggio dall’esterno,
oppure è necessario che dall’interno si trovi una via per riunire questa situazione
così frammentata?
R. – Sicuramente, la Libia deve trovare al proprio interno
la forza di cercare una propria stabilizzazione. Certo è che le stesse istituzioni
internazionali – penso alle Nazioni Unite o comunque all’Unione Europea – potrebbero
giocare un ruolo importante nella stabilizzazione, nell’aiutare a costruire il post-Gheddafi,
dando il proprio supporto alla ricostruzione delle istituzioni di uno Stato che si
è sgretolato, che continua a sgretolarsi e che da solo mostra difficoltà nella ricostruzione.
D.
– In questo scenario, è stato spostato un contingente di circa 500 marines
dalla Spagna alla base di Sigonella, in Sicilia: è possibile un intervento?
R.
– Gli Stati Uniti non vogliono trovarsi nuovamente impreparati a un possibile attentato
contro l’Ambasciata americana a Tripoli. Il Consolato americano a Bengasi in questo
momento non è funzionante dopo l’attentato dell’11 settembre scorso. Più che un intervento,
direi che si tratta di una scelta della amministrazione Obama contro le critiche,
sia dell’opposizione sia da alcuni democratici, per la mancata prevenzione dell’attentato
a Bengasi l’11 settembre scorso.
D. – La Libia aveva un ruolo strategico all’interno
del Maghreb: c’è il rischio che la situazione sul terreno, così frammentata, in realtà
sia veicolo per nuove forze terroristiche?
R. – E’ indubbio che laddove vi
sia un vuoto di potere, soprattutto in Nordafrica – e il caso del Mali è comunque
un esempio significativo – quei movimenti legati al qaedismo internazionale possono
trovare terreno fertile per porre le proprie basi e per andare a rafforzarsi. La debolezza
intrinseca della Libia – dal punto di vista istituzionale, politico ed economico –
certamente non fa altro che ampliare i rischi del rafforzamento di gruppi qaedisti
nel Nordafrica.