Rapporto Cei sul lavoro: emergenza occupazione fino al 2020, rilanciare la formazione
“La Chiesa, con la sua dottrina sociale, non intende formulare un programma di governo,
ma suggerire linee di fondo che orientino l'azione politica". E' quanto precisa in
un messaggio il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, a commento del rapporto
'Per il lavoro', elaborato dalla Conferenza episcopale italiana e presentato a Roma,
sulla scorta dell’emergenza italiana legata alla disoccupazione, al lavoro nero e
al precariato. Hanno partecipato il cardinale Camillo Ruini e il segretario generale
della Cei mons. Mariano Crociata. Al microfono di Paolo Ondarza ascoltiamo
il sociologo Sergio Belardinelli, tra i curatori dell’opera:00:03:42:96
R.
– I tassi di disoccupazione, che sappiamo essere molto alti, la disoccupazione giovanile,
inefficienti meccanismi di formazione al lavoro, un mercato del lavoro troppo ingessato:
sono tratti di cui si parla da tempo e che sono noti. Non abbiamo parlato abbastanza,
in questi anni, della progressiva perdita di senso che il lavoro andava registrando
…
D. - … anche perché i problemi che lei citava insieme alla rassegnazione
di chi rinuncia addirittura a cercarsi un lavoro, o alla mancanza di conciliazione
tra lavoro e famiglia, evidenziano l’assenza di una dimensione antropologica del lavoro
nella società di oggi …
R. – Infatti! Sono circa due milioni i giovani che
nel nostro Paese ormai neanche lo cercano più, un lavoro. La transizione tra scuola
e lavoro non funziona. E’ necessario che quando parliamo di giovani e lavoro, ci poniamo
il problema della formazione al lavoro: è qualcosa che richiede uno sforzo culturale
che forse non abbiamo fatto e che però è arrivato il momento di fare, assolutamente.
D.
– E persino questioni che apparentemente sembrerebbero meno collegate con la dimensione
antropologica, risentono invece della mancanza di questa: mi riferisco ad esempio
al rilancio del made in Italy …
R. – Noi sappiamo che l’Italia è il
Paese della piccola e media impresa: è questo il grande patrimonio di ricchezza economica
del Paese. Ci piacerebbe che forse un po’ di più si riflettesse sulle condizioni che
hanno reso possibile, nel nostro Paese, lo sviluppo di questo patrimonio, vale a dire
sulle energie creative, proprie, del popolo italiano. E’ qualcosa che più di quanto
non si pensi ha a che fare con la cultura italiana, che è una cultura della quale
si enfatizza magari il particolarismo, l’egoismo, la furbizia … forse sarebbe ora
che incominciassimo anche ad apprezzarne i lati positivi come il gusto del lavoro
fatto bene, una tradizione del lavoro incominciata nelle botteghe artigiane del Rinascimento
e che nei secoli è arrivata fino a noi.
D. – La Chiesa ha a cuore il bene integrale
dell’uomo: per questo si interessa delle problematiche legate al lavoro. Il vostro
è un rapporto, ma anche una proposta per una nuova cultura del lavoro. Come costruirla,
a partire da dove?
R. – Una nuova cultura del lavoro passa attraverso il fatto
che il lavoro è un’attività economica ma non è solo un’attività economica: è un’attività
nella quale davvero si gioca il destino delle persone e delle comunità. Per questo,
persone e comunità debbono investire con realismo su questo, su una formazione al
lavoro che sia all’altezza del tempo nel quale siamo. Noi non possiamo giustificare
il fatto che in un momento di crisi come quello che viviamo ci siano centinaia di
migliaia di giovani che non sono disposti a fare alcuni lavori che stanno diventando
una prerogativa esclusiva degli immigrati. Noi abbiamo bisogno di educare i nostri
giovani anche a farsi carico di qualche sacrificio. Ci sono momenti in cui bisogna
sacrificare alcune legittime aspirazioni e prendere il lavoro che ci viene offerto.
D.
– Quindi, è una questione educativa, una questione culturale?
R. – E’ soprattutto
una questione culturale ed educativa. Se sapremo collocarci a questo livello, a mio
modo di vedere avremo anche un riscontro significativo sul piano economico. Diversamente,
non se ne esce.