Il ricordo di Primo Levi e della Shoah, di cui fu testimone e narratore, rivivono
in tre grandi tele esposte al Museo ebraico di Roma nella mostra Survivor,
aperta fino al 15 ottobre. Il prestito proviene dalla Pinacoteca Agnelli perché, dopo
la tragica scomparsa di Primo Levi nel 1987, fu il suo amico di liceo a Torino, Gianni
Agnelli, ad acquistarle dal pittore americano Larry Rivers. Attraverso colori, linee
e scelte tecniche, passato e presente convivono e insegnano a guardare al futuro con
positività. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Sono gli anni
80, quando le opere di Primo Levi pubblicate in America colpiscono il lettore Larry
Rivers, facendone emergere dirompente l’identità di ebreo: è in realtà Yitzihok Loiza
Grossberg e ha origini russe. Da allora il suo espressionismo è al servizio della
Shoah: e questa è l’origine anche dei tre ritratti di Levi, commissionati da Agnelli,
montati su poliuretano espanso modellato, oggi al Museo ebraico di Roma. La direttrice
Alessandra De Castro:
“Sono quasi dei bassorilievi, su fotografie;
sono sovrapposizioni di immagini in cui lui indaga tutte le componenti della personalità
di Primo Levi. Soprattutto un personaggio di profonda spiritualità, uno che riesce
a meditare su un tema così assurdo e che riesce a comunicare l’incomunicbaile”.
Sotto
gli occhi del visitatore le immagini prendono corpo e vita in un gioco quasi tridimensionale.
Su più livelli è narrata infatti la realtà complessa dell’olocausto che va e viene
nella mente di chi è sopravvissuto, mai narrabile per intero ma mai anche cancellabile
del tutto. Semmai, le tinte si sfocano e i contorni si diluiscono, così come nelle
tele dove non è casuale l’uso del carboncino e della tecnica della cancellazione,
metafora perfetta del soggetto descritto. Riccardo Pacifici, presidente della
Comunità ebraica romana:
“Io credo che oggi noi stiamo ri-dando voce attraverso
delle immagini non solo, ovviamente, a Primo Levi ma a tutti coloro che non hanno
potuto raccontare o a coloro che sono morti cercando di rimuovere, per quanto possibile
…”.
C’è il nero e i grigi dei camini fumanti, delle bocche dei crematori
sullo sfondo; al centro il chiaro dell’immagine di Levi nelle vesti di scienziato,
di testimone che parla ai giovani, di sopravvissuto; e poi, nel livello più esterno,
ecco il riemergere indelebile il passato, per esempio con le figure dei bambini massacrati
nei “lager”. Ma la sensazione che resta non è quella della morte, bensì della vita.
Riccardo Di Segni, capo della comunità ebraica romana:
“Bisogna
proiettarsi ottimisticamente nella vicenda di oggi, portandosi dietro l’esperienza
precedente non come esperienza distruttiva ma che ci faccia capire che comunque è
possibile costruire un mondo differente. Non è solo possibile, è doveroso”.