La Turchia accusa il regime siriano per gli attentati a Reyhanli: pronti a reagire
Torna a salire altissima la tensione tra Turchia e Siria. Ankara ha fatto sapere che
si riserva il diritto di assumere "ogni genere di misura", che riterra' idonea a rispondere
alle due autobombe che hanno causato almeno 43 morti e oltre 100 feriti a Reyhanli,
nella Turchia sud-orientale situata ad appena 3 chilometri dal confine con la Siria.
Lo ha riferito il ministero degli Esteri. In precedenza il vice-premier turco Besir
Atalay e il ministro dell'Interno, Muammer Guler, avevano puntato il dito contro,
"gruppi che appoggiano il regime siriano e i suoi servizi segreti". Guler ha aggiunto
che "le persone e l'organizzazione autrici degli attacchi sono state identificate".
Ad annunciare la posizione di Ankara e' stato da Berlino il ministro degli Esteri
in persona, Ahmet Davutoglu, anche se stavolta ha esplicitamente chiarito di non vedere
la necessita' di convocare una riunione d'emergenza del comitato militare della Nato,
invocando l'art. 4 dell'Alleanza. L'ultima volta che Ankara aveva chiamato in causa
la Nato nel suo 'confronto' con Damasco risale allo scorso ottobre quando un colpo
di mortaio dalla Siria colpi' la cittadina turca di Akcacale uccidendo 5 persone.
A giugno un caccia-bombardiere F-4 Phantom turco era stato abbattuto dalla contraerea
siriana a largo delle coste di Latakia. Davutoglu ha comunque anticipato che del tema
discutera' al suo rientro in Turchia con il premier Recep Tayyip Erdogan. Da parte
sua, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha condannato gli
attentati a Reyhanli. "Questi atti deprecabili mostrano il totale disinteresse per
la vita dei civili", ha affermato Rasmussen in un comunicato, esprimendo "piena solidarieta'
al popolo e alle autorita' della Turchia, nostra alleata".
Proprio ieri si
celebrava la Giornata mondiale di preghiera delle Chiese cristiane per la pace in
Siria. Un momento di forte unità di tutte le comunità cristiane presenti in questa
terra, che si sono mobilitate insieme pregando secondo quattro intenzioni: il ritorno
della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, il sostegno ai bambini traumatizzati
dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi. La Giornata è stata battezzata
“la preghiera del cuore spezzato”. Salvatore Sabatino ne ha parlato con padre
Ghassan Sahoui, gesuita libanese che vive a Homs, una delle città più colpite
dalla guerra:
R. – In tutte
le chiese si sono organizzate preghiere per far crescere la nostra consapevolezza
di essere cristiani e per capire meglio la nostra vocazione in questa crisi, in questo
dramma davvero brutale; sentiamo la nostra incapacità di risolvere i problemi e quindi
non ci rimane altro che chiedere a Dio, che è nostro Creatore e che ci ha dato la
pace, di darci questo dono: di cambiare i cuori.
D. – E’ la prima volta che
tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese:
un segnale, questo, importantissimo di unità …
R. – Un passo che dà la gioia
di vedere finalmente che noi cristiani siamo uniti nella preghiera, che è un dovere
e una grazia allo stesso tempo, chiedere a nome nostro e a nome di tutti i siriani,
certamente uniti con tutti i cristiani del mondo e tutti quelli che davvero amano
la Siria, per pregare e chiedere a Dio la misericordia e la pace per questo Paese
martoriato.
D. – Il Patriarca Gregorios III Laham ieri ha detto: “I cristiani
in Siria non sono una Chiesa o una minoranza da difendere, ma un elemento costitutivo
del popolo siriano”. Quindi, proprio all’interno del tessuto di questo Paese …
R.
– La Chiesa è davvero nata a Gerusalemme, ma poco a poco e subito si è diffusa in
tutta la regione, e i cristiani sono stati chiamati come tali ad Antiochia e Antiochia
faceva parte della Siria, ora fa parte della Turchia … Siamo qui, quindi, fin dall’inizio
della cristianità e questa è la nostra terra. Siamo radicati in questa terra, e sentiamo
anche che è la nostra missione fare da ponte tra le fazioni in guerra che purtroppo
non riescono a mettersi d’accordo o dialogare. E solo Dio può dare questa grazia:
cambiare i cuori e le menti, per trovare finalmente una soluzione pacifica in dialogo,
senza armi, senza questa logica della violenza che distrugge non solo il Paese, ma
l’uomo come tale.
D. – Una sua personale speranza, per il futuro della Siria...
R.
– Malgrado tutto, noi speriamo – io spero, in modo davvero personale – che questa
crisi finisca, che la pace ritorni nei cuori di tutti i cittadini siriani, ma che
si instauri un dialogo davvero fruttuoso e sincero tra le parti, e che la Siria torni
a trovare la sua vocazione di un ponte di pace, di elemento di stabilità nella regione
e nel mondo.
D. – In questa speranza siete supportati da Papa Francesco che
molte volte ha lanciato appelli per la pace in Siria …
R. – Sì, grazie a Dio,
sentiamo la sua vicinanza a noi, davvero. E rendiamo grazie a Dio per lui e per la
sua preghiera; sappiamo che è un uomo delle sorprese, ci fa sempre belle sorprese.
E quindi, noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da lui, dal Vaticano.