2013-05-07 15:59:50

Rapporto svela l'immagine dei rom trasmessa dai media: stereotipi spesso negativi


Un’indagine condotta sulla stampa per verificare come vengono affrontate le notizie che riguardano i rom e i sinti. A presentarla ieri a Milano l’Associazione Naga i cui volontari hanno monitorato per 10 mesi, tra giugno 2012 e marzo 2013, nove testate nazionali e locali. I risultati confermano l’ipotesi di partenza e cioè che la stampa contribuisce a costruire un’immagine negativa di queste minoranze, ma svelano anche i meccanismi utilizzati. Sentiamo al microfono di Adriana Masotti, Natascia Curto, una dei volontari che ha curato il rapporto.RealAudioMP3

R. – Spesso, purtroppo, i rom e i sinti sono associati ad eventi negativi, anche quando non sono in realtà coinvolti: semplicemente il fatto di passare in un quartiere, di camminare per la strada – che sono atti che tutti compiamo – se compiuti da un rom sono oggetto di allarme sociale. Questo crea, come si capisce bene, una distanza, una diffidenza delle persone che poi identificano i rom come persone pericolose, cattive che e quindi vengono ancora di più discriminate nelle azioni quotidiane. Ad esempio, quando entrano nei negozi spesso è chiesto loro di allontanarsi e questo rende molto difficile i percorsi di inclusione nella nostra società.

D. – Illustrando, parlando di eventi negativi, spesso capita di leggere qualcosa sui rom anche quando i rom non sono protagonisti di questi fatti…

R. – Esatto. Vengono chiamati in causa semplicemente per il fatto di esistere. Si dice ad esempio che, siccome c’è un campo rom vicino al luogo in cui è avvenuto un fatto negativo, allora sicuramente saranno stati loro. Praticamente, il semplice fatto di "essere" rom diventa una colpa. E noi sappiamo che spesso persone rom devono tenere nascosto il fatto di essere rom, sul posto di lavoro, perché se il datore di lavoro viene a sapere che sono rom li manda subito via. Questo è un effetto evidente di un pregiudizio: una persona, se rom, ruba.

D. – Un’altra modalità riscontrata sulla stampa nei riguardi dei rom è quella di creare una separazione, un "noi" e un "loro" …

R. – Sì, e questa separazione tra le persone che noi percepiamo come simili, gli altri cittadini, e i rom, è una separazione che viene costruita, ma che non viene costruita però solo per i rom. Se noi ci facciamo caso, in questo momento storico spesso le categorie di persone più fragili, le categorie di persone più emarginate, vengono additate come quelle a causa delle quali siamo tutti in difficoltà.

D. – Voi, poi, rivolgete un appello ai giornalisti, dicendo che loro hanno una grande responsabilità ma anche una opportunità…

R. – Certo. Questa indagine non è fatta per dire: "voi giornalisti vi comportate male”. E’ semplicemente per mettere in evidenza che i giornalisti hanno una grande opportunità, che è quella di incidere anche positivamente: ad esempio, anche banalmente, andando ad ascoltare la voce di queste persone, andando ad ascoltare le storie, andando a cercare di capire dall’interno. Questa proposta noi ci sentiamo di farla in maniera abbastanza forte non solo ai giornalisti, ma anche ai cittadini. Noi invitiamo tutte le persone nelle loro conversazioni quotidiane, nei loro luoghi di lavoro, gli insegnanti, a cercare di contrastare un po’ gli stereotipi sui rom, a cercare di non perpetuare l’immagine negativa dei rom che è così radicata nella nostra cultura.

D. – Voi chiedete anche di non proporre, senza alcun commento, dichiarazioni sui rom raccolte tra la gente …

R. – Sì, purtroppo, questa è una cosa che si verifica molto spesso. Siccome dichiarazioni tipo “I rom rubano”, “sono ladri”, non si possono fare perché un giornalista verrebbe immediatamente tacciato di essere discriminatorio, allora queste dichiarazioni vengono riportate come raccolte tra la gente. Noi inviteremmo semplicemente a verificare le fonti di queste dichiarazioni e poi a distinguere: a distinguere i fatti da una dichiarazione riportata. Allora, se un mio vicino di casa pensa che io sia una ladra, è libero di pensarlo, ma questo non vuol dire che sul giornale debba andare scritto che io sono una ladra.

Per una lettura linguistica dei risultati emersi dall'indagine dell'Associazione Naga intitolata: "Se dico rom..." Adriana Masotti ha sentito Federico Faloppa, docente di linguistica italiana all'Università di Reading in Gran Bretagna, che del rapporto pubblicato ieri ha scritto l'introduzione: RealAudioMP3

R. - Mi pare che questo rapporto del Naga oltre a evidenziare dei fenomeni che sono già stati riscontrati in certe indagini precedenti, mette in luce un interessante intreccio di dati qualitativi e di dati quantitativi. Si è cercato di vedere e verificare come i quotidiani italiani per un certo periodo di tempo hanno rappresentato e hanno parlato di rom e sinti in Italia. Mi pare che questa grande mole di dati non solo - purtroppo - confermi alcune tendenze, ma metta in luce anche una sorta di ripetizione di stilemi, di stereotipi, che si passano quasi da una generazione all’altra. Allora, mi pare che da un punto di vista linguistico, la considerazione possa essere duplice. La prima, che ci sono degli stereotipi, ma anche - appunto - delle costruzioni retoriche, ormai talmente passate, veicolate, usate ed abusate, che quasi vengono ripetute quasi senza essere messe in discussione. Dall’altra, mi pare che si possa verificare non solo la tendenza dei giornalisti a parlare in un certo modo di rom e sinti, ma anche quasi di un’incapacità - direi - strutturale di indagare la realtà per quello che è, quindi di verificare le fonti, di usare dei titoli non urlati o strillati, di formulare in modo dubitativo invece che assertivo… Non dimentichiamoci che stiamo parlando di rom e sinti, quindi di persone che non vengono quasi mai chiamate in causa quando succede qualcosa. La mancanza totale di una voce, mi sembra sia un dato allarmante!

D. - L’associazione Naga fa anche un appello alla responsabilità e all’opportunità che appartengono ai giornalisti. Sembra un circolo vizioso: i giornalisti forse danno ciò che l’opinione pubblica chiede, però poi l’opinione pubblica rimane confermata nella sua idea e questo ha delle conseguenze anche sulle scelte politiche. Insomma, è un grosso lavoro quello che bisogna fare per cambiare le cose…

R. - Sicuramente un grosso lavoro. C’è un circolo vizioso che va interrotto in qualche modo. Credo che il percorso sia in salita, ma che non sia impossibile. Le faccio due esempi. Il primo è quello che ci fa capire che in Italia si sta lavorando ormai da qualche anno in questa direzione; non c’è solo il Naga, ci sono anche altre strutture di volontariato, oppure associazioni che si occupano di decostruire le notizie per cercare di ricostruire la realtà in modo diverso. Penso all’associazione Carta di Roma, ai giornalisti contro il razzismo, e poi bisogna anche tenere conto dei modelli che già esistono. Si può fare giornalismo, senza - per forza di cose - dare al lettore solo la notizia urlata per cercare di vendere qualche copia in più. C’è un giornalismo serio che viene fatto in gran parte dei Paesi europei, che distingue intanto il commento dalla cronaca e che vuole poi una cronaca dettagliata in cui tutti gli attori siano coinvolti. Quindi ci sono dei modelli virtuosi che possono essere presi in considerazione. Credo che il lavoro di un buon giornalista, non sia soltanto di vedere - appunto - dove va la pancia del lettore, ma anche dove va la testa della sua categoria professionale



Ultimo aggiornamento: 8 maggio







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