L’Iran chiede un'indagine Onu sul recente attacco israeliano in Siria
I raid aerei israeliani sulla Siria sono "inaccettabili". Così si è espresso il premier
turco, Recep Tayyp Erdogan, sull’azione militare di domenica sorsa, che ha ucciso
120 persone nei pressi di Damasco. L’Iran ha chiesto un'indagine dell'Onu, mentre
Israele denuncia che un nuovo colpo di mortaio, proveniente dal territorio siriano,
si è abbattuto sulle alture contese del Golan. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
L’Iran ha chiesto
formalmente un'indagine dell'Onu sull’attacco israeliano di domenica scorsa in Siria,
sottolineando che si è trattato di una violazione delle leggi internazionali. Gli
fa eco la Turchia che parla di azione “inaccettabile”. Il bilancio aggiornato delle
vittime è di 120 morti, tutti nella struttura militare presa di mira nei pressi di
Damasco. E mentre sul terreno i rivoltosi continuano a combattere il regime, un nuovo
colpo di mortaio proveniente dal territorio siriano si è abbattuto sulle alture contese
del Golan, senza provocare né feriti né danni. E' il terzo episodio del genere in
24 ore. Intanto, fa discutere la nota della Commissione Onu d'inchiesta sui crimini
di guerra in Siria, da cui emerge che non ci sono prove "definitive" sull'uso di "armi
chimiche” durante il conflitto. Una presa di posizione che giunge all'indomani delle
dichiarazioni di Carla Del Ponte, membro della commissione, la quale ha parlato dell'uso
del gas sarin da parte dei ribelli.
Sulla posizione dell’Onu in relazione all’uso
di gas letali, Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. ClaudioLo Jacono, direttore della rivista "Oriente moderno":
R. – Ho sentito
le dichiarazioni di Carla Del Ponte e parlava di possibilità, con indizi molto forti,
ma lei stessa non ha mai dato la certezza che fossero state usate armi chimiche dai
ribelli. Ha parlato di situazione verosimile. Secondo me, quindi, l’Onu ha semplicemente
sottolineato questo aspetto. Non mi sembra ci sia un vero e proprio contrasto.
D.
– Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha detto che entro 24-48 ore, nel
momento in cui ci fosse il via libera di Damasco, sarebbe pronto a mandare inviati
per accertare l’utilizzo di queste armi chimiche. Succederà mai?
R. – Che Damasco
dia questo permesso, mi permetto di dubitarne. Naturalmente me lo auguro. Un’autorizzazione
a intervenire da parte dell’Onu su un teatro caldissimo come quello della Siria non
potrebbe che portare l’accertamento della situazione a successivi sviluppi positivi,
perché siamo veramente nel marasma delle informazioni e, in questa baraonda delle
organizzazioni anti Assad. Si sa quello che pensa Assad e quello che vuole. Non abbiamo
invece una chiarissima idea dello schieramento a lui avverso. E’ uno schieramento
multiforme e totalmente disomogeneo, perché vi sono presenti patrioti e liberali.
Ci sono fondamentalisti islamici, gruppi – come si è anche visto anche nel sequestro
del giornalista de La Stampa – che fanno quasi una guerra a sé, in funzione puramente
religiosa, contraria al regime alawita di Assad. Altri lottano per la libertà, per
principi e nuovi orientamenti politici...
D. – Vertice oggi tra Stati Uniti
e Russia, le due potenze sembrano avvicinarsi nella risoluzione della crisi siriana.
Rimane un po’ distante la Cina...
R. – C’è da augurarsi che questa comunione
d’intenti possa trovare un riscontro nella realtà. Non c’è dubbio che la Cina e che
la Russia abbiano in qualche modo tenuto in piedi il regime. Non so se con rifornimento
anche di armi, ma in ogni caso, politicamente, hanno evitato un intervento più efficiente
dell’Onu. Da questo punto di vista, sono stati un ostacolo per la pacificazione.
Sicuramente, un intervento pacificatore poteva avvenire molto tempo prima e sarebbe
potuto avvenire se la Russia non avesse opposto il suo veto a misure contrarie ad
Assad.
D. – Le tensioni stanno aumentando nell’area anche per il raid israeliano
di domenica in Siria…
R. - L’attacco fa correre il rischio a Israele di un
riavvicinamento, in qualche modo, non solo tra Siria e Arabia Saudita, ma anche tra
Iran e Arabia Saudita, nel nome di un astratto dovere di solidarietà islamica.