Funerali di Andreotti: mons. Veturi nell'omelia ricorda la vita privata dello statista
Celebrati ieri pomeriggio a Roma, nella Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini,
i funerali del senatore a vita Giulio Andreotti, deceduto lunedì all’età di 94 anni.
A Milano, intanto, il consigliere del Pd, Umberto Ambrosoli, ha lasciato l’aula del
Consiglio regionale della Lombardia durante il minuto di silenzio osservato per ricordare
Andreotti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
I funerali in
forma privata sono stati l’ultimo saluto a Giulio Andreotti, leader storico della
Democrazia Cristiana e protagonista della vita politica italiana per tutta la seconda
metà del XX secolo. Un periodo segnato dagli sforzi post bellici, dal boom economico,
ma anche da pagine drammatiche, come quelle degli anni di piombo, del rapimento di
Aldo Moro e degli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino. Andreotti è stato anche
al centro di una intricata vicenda giudiziaria, conclusasi dieci anni fa. Nel 2003,
al termine del processo per concorso esterno in associazione mafiosa, è stato assolto
per i fatti successivi al 1980. Giudicato invece non perseguibile, per sopravvenuta
prescrizione, per i fatti anteriori al 1980. Ai funerali hanno partecipato, tra gli
altri, anche l’ex presidente del Consiglio Mario Monti, il presidente del Senato,
Pietro Grasso, e il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Nell’omelia mons. Luigi Veturi,
parroco della Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini, si è soffermato sulla
vita privata di Andreotti:
“La famiglia ha voluto che fosse una cerimonia
molto intima, personale. Ora tutti stanno parlando di Andreotti, ognuno alza la voce.
Io racconto la vita privata di Andreotti, la vita di tutti i giorni, quella di padre
di famiglia. La fede per lui è stata la luce che lo ha guidato in tutte le vicissitudini
della vita, comprese quelle che lo hanno fatto soffrire”.
E' il ricordo
di un'amicizia consolidata nel tempo quello cui fa riferimento il cardinale Camilllo
Ruini, parlando di Giulio Andreotti. Le sue parole in occasione della Lectio magistralis
tenuta ieri a Roma sul Ruolo della fede in Dio nello spazio pubblico. Ascoltiamo il
poporato al microfono di Gabriella Ceraso:
R. - E’ un
ricordo molto antico, perché io ho conosciuto personalmente Andreotti nell’86, quando
sono venuto qui, a Roma, come segretario della Conferenza episcopale e lui aveva già
un notevole ruolo politico. Sono sempre rimasto colpito dalla sua saggezza, dal suo
senso dell’umorismo e anche - certo - dalla sua maniera discreta ma tenace di tenersi
agganciato ai valori cristiani. Abdreatti non nascondeva la sua fede, non nascondeva
il suo credo. Era una persona che sapeva contemperare bene il ruolo istituzionale
con le sue convinzioni di credente.
D. - E' stato anche uomo del dialogo?
R.
- Ah, certamente! Andreotti parlava con tutti: era capace di tenere rapporti a 360°.
E
il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco ha ricordato l’importanza di
Andreotti per la Repubblica italiana. Spero - ha aggiunto - che tutti noi, ripensando
alla sua storia, possiamo prendere opportuni insegnamenti nel considerare il bene
per l'Italia”. Amedeo Lomonaco ha chiesto un ricordo a padre Michele Simone,
notista politico di Civiltà Cattolica:
R. - Indubbiamente
fa parte della storia della Repubblica. Ritengo che, nonostante tutte le cose negative
che gli sono state attribuite, non tutte poi provenissero da lui. Penso che la storia
darà un giudizio tutto sommato positivo.
D. - Una storia indissolubilmente
legata all’esperienza della Democrazia Cristiana...
R. – Andreotti, come dicevo,
fa parte della storia della Repubblica e della storia della Democrazia Cristiana.
Era un personaggio capace di conoscere veramente che cosa avveniva nel Paese, e quindi
di addirizzare il timone della Democrazia Cristiana per darne un’interpretazione positiva.
Non ha partecipato a particolari trame negative all’interno della Dc. Ha saputo valorizzare
i valori di cui la Dc era portatrice fino al punto di puntellare alla fine la Democrazia
Cristiana. Non si può dimenticare poi il suo apporto al compromesso storico e ciò
che è accaduto in quell’epoca.
E sullo statista il giornalista del Corriere
della Sera Massimo Franco ha scritto il libro "Andreotti. La vita di un uomo
politico, la storia di un'epoca" edito da Mondadori". Sentiamolo intervistato da Alessandro
Guarasci:
R. - E’ stato
l’uomo che ha, in fondo, rappresentato l’amministrazione dello Stato Italiano, lo
Stato democristiano, legato al Vaticano, legato alla Guerra Fredda, dal dopoguerra
fino alla fine della Guerra Fredda. In quella fase Andreotti ha finito per simboleggiare
il potere, anche se è stato qualcosa di più.
D. - Quanto ha cambiato l’Italia
e il modo di fare politica?
R. - Lo ha cambiato molto, nel senso che rappresentava
intanto un potere inamovibile, perché gli equilibrio della Guerra Fredda rendevano
la Democrazia Cristiana il perno, il partito-Stato come si diceva e qualcosa di insostituibile.
Secondo: rappresentava un potere abbastanza morbido, che cercava di non essere troppo
invasivo, ma che naturalmente - per il fatto di non aver alternative - alla fine ha
mostrato tutte le sue rughe e le sue contraddizioni. Quindi, con la fine della Guerra
Fredda, si è esaurito nella sua funzione storica.
D. - Andreotti, però, viene
ricordato anche per i suoi problemi giudiziari. Un uomo che, però, si è sempre difeso
nel processo?
R. - Certamente in questo Andreotti si è rivelato un uomo responsabile,
una persona che sapeva che cosa fosse il rispetto delle istituzioni e, in questo senso,
anche un abile imputato: alla fine è stato per alcuni reati assolto e per altri è
scattata la prescrizione. Ma la sua vicenda spiega che in realtà la complessità della
vita italiana del dopoguerra non poteva essere giudica né letta soltanto con lenti
giudiziarie.
Il 14 gennaio del 2004, nel giorno dell’85.mo compleanno di Giulio
Andreotti, era stata conferita allo statista italiano la laurea in “Utroque Iure”
nel corso di una cerimonia svoltasi alla Pontificia Università Lateranense. In quell’occasione,
Amedeo Lomonaco aveva chiesto, proprio al presidente Giulio Andreotti,
di tracciare un bilancio sul percorso di vita fino ad allora compiuto:
R. – Personalmente
ringrazio Dio di poterli celebrare. Sono piuttosto emozionato per una certa intensità
di affetto e di attenzione che vedo… Quando al bilancio, è un po’ difficile… Spero
ancora di avere un po’ di tempo per gli attivi e i passivi e poi lo farò all’altro
mondo confidando nella Misericordia di Dio.
D. – Quale ruolo ha avuto la fede
nella sua vita?
R. - Determinante, a cominciare dagli inizi: io ero rimasto
orfano appena nato, eravamo tre ragazzini in famiglia affidati a mia madre, soltanto
con una piccola pensione di guerra, e trovammo nella parrocchia una specie di seconda
famiglia e un parroco umanissimo, un uomo che mi ha aiutato a dare degli indirizzi
- qualche volta ho tardato forse anche a capirli - che poi, quando sono diventato
grande - per così dire - mi hanno dato un notevole apporto.