Cristiani e buddisti in dialogo. Interventi del card. Tauran, Raffaello Longo e mons.
Mansueto Bianchi
Un evento che risponde all’invito lanciato da Papa Francesco a costruire ponti di
dialogo. E’ il colloquio fra cristiani e buddisti organizzato oggi a Roma presso l’Università
Urbaniana dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso in collaborazione
con la Cei, Movimento dei Focolari e Unione buddisti italiana. Si tratta della quarta
tappa di un percorso avviato dal dicastero vaticano nel 1964 e che nell’odierna giornata
ha avuto per tema “Pace interiore, pace con i popoli”. Al microfono di Paolo Ondarza,
il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il
Dialogo Interreligioso:
R. - La cosa
importante è che malgrado le difficoltà, tutti siamo convinti che non vi sia altra
soluzione ai problemi che il dialogo, che è incontro, comprensione, amore. Tema di
questo convegno è “Pace interiore, pace nel mondo”: questo vuol dire che quando uno
è in pace con se stesso, trasmette un messaggio di serenità, speranza, bontà, misericordia
- il Papa insiste molto sulla misericordia… - e quindi è portatore di pace. Tutto
il dialogo col buddismo insiste molto sulla vita interiore e forse nel mondo di oggi
è l’aspetto che manca di più.
D. - Lei ha detto: “La pace non è solo un patto
per una vita tranquilla, né assenza di guerra. Pace - ha detto - è essere completi
e intatti. Recuperare quell’armonia con Dio, con gli altri e con il Creato…”
R.
- Già Pascal diceva che “il grande problema dell’uomo è che non sa stare in pace nella
sua stanza”. Io penso che dobbiamo imparare a ricostruire quest’uomo interiore.
D.
- Questa pace interiore è un punto comune tra cristianesimo e buddismo?
R.
- Sì, penso di sì. E’ la meditazione che ci permette di sapere chi siamo, dove andiamo,
anche se ovviamente il buddismo è una tradizione religiosa molto diversa dalla nostra.
D.
- Sfida comune per le religioni, in particolare per cristianesimo e buddismo, sono
le tante minacce contro la vita nelle società contemporanee…
R. - Sì, la vita
in senso largo. Leggevo l’altro giorno la testimonianza di uno studente della Cina
continentale venuto a studiare in Europa. Dopo tre anni è tornato a Pechino e ha detto
ai suoi compagni: “Lì sono talmente liberi che nessuno bada a nessuno”. Questo è molto
triste, ma è anche una diagnosi - penso - molto vera.
Contemplazione e silenzio,
amore e compassione, rispetto della vita: punti di contatto tra cristiani e buddisti.
“La pace interiore è premessa per la pace tra i popoli”. Ne è convinto il venerabile
Raffaello Longo, presidente dell’Unione Buddista Italiana. Paolo Ondarza
lo ha intervistato:
R. - Senza pace
interiore non c’è possibilità di avere una pace con l’esterno. E’ inutile, ovviamente,
fare dimostrazioni pacifiste se poi dentro di noi c’è una rivoluzione, una guerra
interiore. Le religioni devono unirsi per far passare questo messaggio che la spiritualità
non è solo un qualcosa di religioso, ma soprattutto umano.
D. - Lei ha detto
che “per dialogare è fondamentale avere una buona preparazione per quanto riguarda
la propria tradizione”: questo è un presupposto fondamentale?
R. - Sì, il dialogo
non è un qualcosa di romantico dove si parla solo delle cose in comune e si lasciano
fuori le differenze. Per poter dialogare, bisogna avere la padronanza della propria
disciplina, della propria tradizione: altrimenti non ci si confronta su nulla! Il
dialogo interreligioso è un qualcosa di entusiasmante e per poterlo comprendere bisogna
farlo.
D. - Lei ha detto: “io ho punti di riferimento in amici cristiani”…
R. - Assolutamente, la considero una ricchezza e anche una forma di libertà,
perché se riesco a espandere il mio orizzonte molto più in là di quello che dice la
mia tradizione, non può essere che un arricchimento!
D. - Dialogare non ha
come obiettivo quello di far accrescere numericamente gli appartenenti alle singole
religioni, ma trasmettere un messaggio: che la spiritualità è importante, è fondamentale
per costruire percorsi di pace…
R. - Questo assolutamente. Di più: io penso
che il dialogo interreligioso debba portare un esponente di una religione a difendere
la religione degli altri. Mi è capitato più volte di difendere le altre religioni
di fronte a un auditorium: quando l’esponente di un’altra religione difende la religione
che ha di fianco, le persone rimangono positivamente disorientate.
Buddismo
e cristianesimo hanno un ruolo essenziale per la costruzione del nuovo umanesimo del
Terzo Millennio. Ne è convinto mons.Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia
e presidente della Commissione Cei per l’Ecumenismo e il Dialogo che, al microfono
di Paolo Ondarza, ricorda il grande valore dell’incontro tra le religioni organizzato
ad Assisi nel 1996 da Giovanni Paolo II:
R. – Direi che
è stato un evento epocale. E’ uno di quegli eventi che fanno più da soli, come immagine,
che non intere generazioni di testi o di libri pubblicati. Perché trasmettono un’immagine
dell’esperienza religiosa positiva: una grandissima risorsa per l’umanità. Giovanni
Paolo II, veramente, ha avuto un’intuizione profetica grande. Occorre che passi fortemente
il messaggio che l’esperienza religiosa è amica dell’uomo, è amica della convivenza
tra le persone, ha molto da dire sul nuovo progetto umano che si sta varando.
D.
– Oggi in una società globalizzata sempre di più siamo chiamati a confrontarci con
le differenze: ecco perché incontri come quello odierno sono importanti per costruire
ponti, per confrontarsi e per conoscersi …
R. – Esattamente. Sono importanti
per la composizione delle differenze, perché le differenze possono diventare collisioni
o possono diventare sinfonie. Sinfonie, non perché tutte le esperienze religiose siano
uguali o intercambiabili: non per questo, assolutamente! Ma perché dentro lo stare
insieme delle persone, la composizione – per così dire – del percorso spirituale diventa
un grande potenziale di umanizzazione e diventa anche una grande risorsa per conoscere,
per vivere, per amare più intensamente la propria esperienza religiosa nella stima,
nel rispetto e nell’accoglienza di quella dell’altro.
D. – Colpisce come tra
tanti italiani, ci sia un certo fascino esercitato dalla filosofia buddista, dal buddismo
in generale. Come porsi di fronte a tutto questo?
R. – Il primo atteggiamento,
ovviamente, è l’atteggiamento del rispetto perché ogni vicenda di coscienza, ogni
percorso di coscienza ha bisogno, prima di tutto, di essere riconosciuto e rispettato.
Ma certamente queste vicende hanno una provocazione nei confronti delle nostre comunità
cristiane. E’ un richiamo forte alla nostra responsabilità educativa: penso prima
di tutto alle famiglie, penso alle comunità parrocchiali. Occorre investire molto
sull’aspetto formativo perché l’identità cattolica sia veramente un’identità e non
semplicemente un movimento o un momento di passaggio nel lungo percorso della vita.
D.
– A volte è proprio l’aspetto emotivo a muovere: lo sottolineava anche il presidente
dell’Unione buddista italiana quando diceva: “Tante persone che a volte si avvicinano
al buddismo si scoraggiano di fronte ad un cammino che presenta difficoltà o ad un
percorso di impegno, di lavoro” …
R. – Sì, perché oggi molta gente sembra come
essere in visita al “supermercato del sacro”, e si atteggia mentalmente come un passeggiatore
in mezzo a molti stand religiosi, cercando di cogliere o di prendere quello che più
immediatamente, epidermicamente la stupisce, la affascina, la conquista … Quando poi
ci si accorge che l’esperienza religiosa è tutt’altro che una vicenda di brivido emotivo,
di curiosità intellettuale o di sensazione epidermica, ma tocca le scelte di fondo
della vita e implica un costruire la vita intorno a queste scelte, allora molta gente
riposa sul banco – per così dire – la merce che aveva presa.