Timori ieri per un allargamento della crisi siriana, quando è stata diffusa la notizia,
non confermata dall’ambasciatore di Damasco all’Onu, di un attacco israeliano in territorio
siriano. Intanto nella comunità internazionale è sempre acceso il dibattito sull’utilizzo
di armi chimiche in questo sanguinoso conflitto, che continua a mietere vittime. Ci
riferisce Marina Calculli:
Non
è la prima volta che Israele fa incursioni impreviste in territorio siriano. Quella
di ieri, però –16 aerei che, secondo una fonte della Cnn, dopo aver sorvolato lo spazio
libanese, sono penetrati in Siria e hanno bombardato depositi di armi – potrebbe essere
il primo segno di un pericoloso allargamento di questa guerra al resto del Medioriente.
Damasco smentisce la notizia e tuttavia la difesa israeliana ha già diverse volte
espresso la volontà di distruggere le armi e la tecnologia militare siriana per il
pericolo che questa che venga trasferita agli Hazbollah libanesi. L’altro nodo è poi
quello delle armi chimiche, che Israele teme possa passare in mano estremiste o essere
usate dal regime di Asad contro lo stato ebraico. E sempre sulle armi chimiche, Obama
è tornato ad esprimersi dalla sua visita in Costa Rica: “gli Stati Uniti sono pronti
a tutti – ha detto Obama – ma non c’è in previsione l’invio di forze terrestri”. Sul
terreno ieri i ribelli sono tornati ad attaccare l’aeroporto di Damasco. Con il bombardamento
di Banias, invece, la guerra ha ormai sconfinato in territorio alawita, la zona che
fino ad ora era rimasta quasi del tutto immune da questo conflitto.
Intanto
cresce l’emergenza umanitaria causata dalla guerra siriana. L’Ospedale cattolico italiano
di Karak, in Giordania, offre rifugio a quanti sono in fuga dalle violenze e dai campi
profughi al confine. Fondato nel 1939, questo nosocomio, sostenuto dalla Catholic
Near East Welfare Association, agenzia vaticana per l’aiuto alle Chiese cattoliche
e alle popolazioni del Medio Oriente, è l’unica clinica attrezzata della regione e
rappresenta il punto di riferimento nella zona meridionale della Giordania. Racconta
il dramma di chi è in fuga dal conflitto, suor Adele Brambilla, religiosa comboniana,
al microfono di Elisa Sartarelli:
R. – Il grande
flusso dei siriani è notevolmente aumentato e adesso è diventato un’emergenza. L’Onu
dice che c’è stato un grande flusso nelle ultime settimane, maggiore di quello che
avevano previsto qui per la Giordania. Si parla già di 100 mila rifugiati.
D.
– Com’è la situazione nei campi profughi?
R. – La situazione nei campi sta
diventando tragica e le agenzie assistenziali, come l’Onu e tutte le altre agenzie
– Save the Children Fund, Medecin sans frontieres – parlano anche di mancanza di cose
necessarie come docce, toilette e spazio per i bambini. Anche in Amman si vedono per
le strade numerosi bambini, c’è l’accattonaggio, perché ci sono bambini che purtroppo
a causa di questa guerra sono stati abbandonati a sé e c’è il rischio che vengano
aperti anche altri campi: i rifugiati dicono che sono già il 10% della popolazione
giordana e i profughi hanno già superato il mezzo milione. La gente nei campi profughi
vive in grande precarietà, l’inverno è stato freddo e adesso arriva il caldo. Le agenzie
umanitarie dicono che fra poco faranno fatica a provvedere ai rifornimenti d’acqua,
igienico-sanitari e all’assistenza medica. Proprio per il grande sovraffollamento,
alcuni gruppi di rifugiati sono arrivati al sud: qui nella nostra provincia di Kerak
sono arrivate diverse famiglie e il nostro ospedale ha aperto le sue porte. Ogni giorno
arrivano in media dai quattro ai dieci rifugiati che cercano soprattutto assistenza
per bambini e donne in gravidanza. Abbiamo avuto diverse mamme che sono scappate dalla
Siria per venire a partorire in una situazione più sicura. Qui nel Sud alcune hanno
trovato dei piccoli appartamenti, ma magari in un appartamento di tre stanze ci sono
tre famiglie che vivono insieme. Noi collaboriamo con la Caritas giordana e diamo
l’assistenza di emergenza soprattutto a donne e bambini: adesso stanno arrivando i
bambini soprattutto con febbre alta, gastroenteriti, broncopolmoniti, oppure varie
infezioni dovute anche alla situazione di grande precarietà che c’è.
D. – La
situazione è tragica, il numero di profughi siriani in Giordania continua ad aumentare.
Questo ha portato anche a proteste sociali?
R. – La gente ha avuto delle reazioni
– l’abbiamo letto sui giornali – ma qui si sente molto poco perché siamo al sud. Ci
sono state delle reazioni perché qui c’è carenza d’acqua, carenza di tante cose, quindi
la gente si sente investita di un peso che forse non può neanche portare. Abbiamo
sentito che in giro ci sono state proteste, ma generalmente la gente è accogliente:
abbiamo visto anche qui nei villaggi che sono stati accolti tutti quelli in arrivo.
Anche noi, i nostri medici, i nostri infermieri, collaboriamo in pieno a questa missione
di accoglienza e di cura. Possiamo dire che non abbiamo sentito internamente, qui
da noi, una ribellione. Ci sono però domande perché la gente si interroga su come
tutto questo andrà a finire.