Myanmar: nazionalismo religioso e l’ombra dell’esercito nelle violenze interconfessionali
Un movimento di monaci birmani sta alimentando le tensioni fra buddisti e musulmani
in Myanmar, teatro negli ultimi mesi di violenze che hanno causato decine di morti
e migliaia di sfollati in diverse zone del Paese. Fra i principali artefici di questa
fronda anti-islamica (che invita a boicottare negozi e attività dei seguaci di Maometto)
vi sarebbe il celebre monaco Wirathu, che a dispetto del suo definirsi "uomo di pace"
è conosciuto col soprannome di "Bin Laden birmano". Tanto che nelle ultime settimane
pare proprio lui, il monaco dalla veste "zafferano", un colore che in passato ha richiamato
la lotta contro la dittatura militare repressa nel sangue dalla giunta al potere,
il cosiddetto "leader spirituale" della campagna di odio etnico-confessionale. Egli
è divenuto il volto noto della violenta campagna contro i musulmani, giustificata
da un feroce nazionalismo religioso e il cui messaggio è "buddisti uniti contro la
minaccia islamica". La presenza di monaci - riferisce l'agenzia AsiaNews - fornirebbe
anche una copertura "ideologica" al conflitto, che ha raggiunto livelli allarmanti
nello Stato di Rakhine contro la minoranza Rohingya. E rischia inoltre di mettere
a repentaglio la "fragile democrazia" che sta prendendo corpo in Myanmar, alimentando
i sospetti che dietro questo gruppo di religiosi vi possa essere la lunga mano della
(ex) dittatura militare. Dietro l'immagine pubblica di Wirathu, vi è un movimento
in continua crescita a sostegno della campagna "969", in cui le tre cifre rappresentano
le virtù del Buddha, i suoi insegnamenti e la comunità dei monaci. Adesivi e volantini
con impresso il numero compaiono con sempre maggior frequenza su negozi, taxi, autobus
e mercati. Un commerciante musulmano di Yangon riferisce che, in seguito all'ondata
di violenze anti-islamica, il suo giro di affari è "crollato del 75%" perché i buddisti
non frequentano più il suo negozio. E a poco sono valsi, sinora, gli appelli alla
calma della comunità internazionale e l'invito a mettere fine alle violenze, lanciato
anche dall'arcivescovo di Yangon mons. Charles Bo, che in un recente messaggio ha
richiamato i "valori centrali" di "amore e compassione" presenti "nel buddismo, nell'islam
e nel cristianesimo". Esperti di politica birmana interpellati da AsiaNews spiegano
che queste tensioni confessionali derivano da "un mix di fattori". Alla "dimensione
economica" secondo la quale "i musulmani hanno successo negli affari" si unisce e
sovrappone "un sentimento nazionalista" insito nei birmani. Non è difficile scovare
- anche nel recente passato - conferme di una "forte militanza" in chiave patriottica
fra i monaci, sulla falsariga di quanto avviene in Sri Lanka. A ciò si unisce una
forte "campagna anti-islamica", alimentata soprattutto "ai tempi della dittatura del
generale Ne Win". Non è affatto escluso, conclude una fonte, che "vi siano anche elementi
della ex giunta militare che stanno orchestrando le attuali violenze e tensioni, per
portare instabilità e mettere in pericolo le riforme politiche". (R.P.)