Attentato in Siria. Illeso il premier al-Halqi. Russia e Usa per la fine della crisi
Siria in primo piano. Russia e Stati Uniti lavorano per una soluzione della crisi.
Ieri il premier Wael al-Halqi è scampato ad un attentato dinamitardo a Damasco, sul
terreno quasi cento morti in scontri tra lealisti e oppositori. E mentre la comunità
internazionale si domanda se Assad stia usando armi chimiche contro i ribelli, la
Francia invoca la verifica dell’Onu. In questo scenario ancora nessuna notizia dei
due vescovi Metropoliti rapiti lunedì scorso, ad Aleppo e del giornalista italiano,
inviato nel Paese, Domenico Quirico, scomparso da venti giorni. Massimiliano Menichetti:
In Sira
non si ferma la spirale di violenza. Ieri a Damasco, in pieno centro, un autobomba
è esplosa al passaggio del convoglio del premier Wael al-Halqi. Il primo ministro
è rimasto illeso, sei uomini sono morti 15 sono stati feriti. Al-Halqi ha parlato
di “furia disperata”. Il movimento sciita libanese Hezbollah, storicamente appoggiato
dal regime siriano oltre che da Teheran, ha condannato l'attentato. Ieri in scontri
in varie parti del Paese, tra rivoltosi e fedeli ad Assad, 98 persone sono morte.
In questo scenario Russia e Stati Uniti concordano sulla necessità di una soluzione
della crisi, però ancora non si delineano strategie. La Francia invoca l’intervento
dell’Onu per accertare se il regime stia usando armi chimiche sulla popolazione. Il
Segretario generale dell'Onu Ban ki-moon ha confermato che gli esperti, se ci fosse
il via libera di Damasco, sarebbero pronti e dispiegati in 24-48 ore. Sul fronte sequestri
continuano, riservate, le trattative per la liberazione dei due vescovi Metropoliti,
Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, rapiti ad Aleppo lunedì. L’Italia
segue invece la vicenda dell’inviato de “La Stampa” Domenico Quirico, scomparso da
20 giorni. Il ministero degli estri conferma che: "la Farnesina sta operando attraverso
l'Unita' di Crisi e in raccordo con tutte le strutture dello Stato interessate”.
Sull'attentato
al premier Wael al-Halqi e la situazione in Siria, Massimiliano Menichetti ha
intervistato il direttore di Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi:
R. – Già
in passato le forze ribelli erano riuscite a colpire il cuore del potere all’interno
di Damasco: uno per tutti, il quartier generale dei servizi d’intelligence dell’Aeronautica,
che sono il nerbo dei servizi d’intelligence del regime. Non mi pare, quindi, che
l’attentato al primo ministro siriano sia un indicatore di un cerchio che si stringe
intorno al regime.
D. – Un’escalation di violenza comunque crescente...
R.
– L’escalation va ricondotta a una situazione sul terreno, che è molto grave oggettivamente,
in cui gli scontri tra le forze ribelli - sia quelle islamiste che quelle “laiche”
del Free Sirian Army e le forze lealiste - vanno avanti perché nessuno dei due contendenti,
almeno finora, sembra avere la forza per superare l’altro.
D. – La questione
delle armi chimiche: si continua a discutere sull’utilizzo da parte di Assad. La Francia
chiede l’intervento dell’Onu per accertarlo. Qual è la situazione, secondo lei?
R.
– La Siria storicamente, tradizionalmente, ha un arsenale chimico molto sviluppato.
Per la Siria, il possesso di armi chimiche era sempre stato visto da un punto di vista
della dottrina militare come una sorta di deterrente a basso costo nei confronti di
Israele. E’ possibile che in qualche misura, in qualche contesto, vi abbia fatto,
come si dice, un ricorso limitato. Ovviamente, se tutto questo dovesse essere accertato,
sarebbe il superamento della cosiddetta "linea rossa", che nella comunità internazionale
è il punto di non ritorno per attivare una qualunque forma d’intervento – posto che,
comunque, il primo passo deve essere quello dell’accertamento dell’utilizzo e quindi
dell’invio di insigni osservatori Onu in Siria. Dopo di che, bisognerà capire come
intervenire: l’implementazione della no-fly zone, l’eventuale messa in sicurezza dei
siti di armi chimiche. Pensare poi a un eventuale intervento di terra sul modello
presente dell’Iraq, mi pare francamente fuori della realtà. Con le disponibilità e
con le volontà che animano oggi le potenze occidentali, se s’interviene, l’intervento
sarà assolutamente circoscritto e limitato.
D. – Chi sta sostenendo chi in
questo conflitto? Da una parte i rivoltosi chiedono il sostegno della comunità internazionale,
che anche su questo punto è divisa; dall’altra, hezbollah starebbe sostenendo il regime...
R.
– Da una parte l’Iran che supporta la Siria, che ha nella Siria il principale alleato
nella regione, e che non si può permettere di perdere in questo senso un amico come
Assad nella regione e che, per intervenire, utilizza lo strumento di hezbollah. Dall’altra,
abbiamo gli Stati del Golfo, in primis Arabia Saudita e Qatar, che appoggiano le fazioni
dei ribelli, soprattutto, ahinoi, le fazioni radicali islamiche, per combattere il
regime di Assad, che non dimentichiamoci è amico appunto dell’Iran, il quale Iran
è il principale nemico dei Paesi arabi sunniti nel Golfo.
D. – Che ruolo gioca
l’Iraq in questo scenario?
R. – l’Iraq si sta avvitando su una spirale di settarismo
molto, molto pericolosa. L’Iraq viene utilizzata dall’Iran per aiutare il regime di
Bashar al Assad. Il territorio iracheno viene utilizzato anche dalle milizie qaediste
che combattono in Siria, che hanno forti legami con le milizie qaediste, che ancora
operano in Iraq, soprattutto nella parte occidentale del Paese. L’Iraq, quindi, diventa
una sorta di retrovia logistica, anche se molto importante, del conflitto siriano.
D.
– Quindi gioca un ruolo doppio: da una parte viene utilizzato dall’Iran per sostenere
il regime; dall’altro, è praticamente terreno di rientro per quanto riguarda le milizie
anti Assad...
R. – Assolutamente sì e questo è l’indicatore più rilevante della
debolezza e dell’instabilità che, tuttora, regna in Iraq.