Siria: illeso premier dopo attentato. Preoccupazione per Quirico della Stampa
I presidenti russo Vladimir Putin e americano Barack Obama si sono dichiarati pronti
a prendere tutte le misure necessarie per la soluzione della crisi siriana. Ma ieri
attentato a Damasco contro il convoglio del premier, rimasto illeso, che però ha
causato la morte di sei persone. Preoccupazione poi per l'inviato de La Stampa nella
zona di Homs Domenico Quirico, non si hanno sue notizie da 20 giorni. E due missili
terra-aria sarebbero stati sparati da sconosciuti contro un aereo passeggeri russo
in volo nei cieli siriani. Continuano poi a mancare notizie sulla sorte di Mar Gregorios
Yohanna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco-ortododosso
di Aleppo, sequestrati lunedì scorso. Massimiliano Menichetti:
E' di almeno
6 morti e 15 feriti il bilancio provvisorio dell'attentato avvenuto stamani nel quartiere
di al-Mezzeh, nella parte ovest del centro moderno di Damasco. Obiettivo il premier
siriano, Wael al-Halqi, rimasto illeso. Un’autobomba è esplosa al passaggio del convoglio
governativo. Il premier ha parlato di “terrorismo disperato”. Intanto, non si arrestano
gli scontri tra lealisti e oppositori in varie parti del Paese. E mentre si discute
della capacità o meno di Assad di sviluppare armi chimiche su larga scala, e il loro
attuale utilizzo, i militari in Gran Bretagna respingono l’ipotesi d’intervento sul
terreno. Pressioni, in senso opposto, invece dai repubblicani sul presidente statunitense,
Barck Obama. In Francia, il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, ha detto che il
suo Paese non ha la certezza dell'uso di tali armi di distruzione di massa, ma ha
invitato l'Onu a indagare sulla questione perché - ha precisato - se fosse confermato
l'impiego, "cambierebbero molte cose" nel conflitto.
Sull'attentato al premier
Wael al-Halqi e la situazione in Siria, Massimiliano Menichetti ha intervistato
il direttore di Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi:
R. – Già in
passato le forze ribelli erano riuscite a colpire il cuore del potere all’interno
di Damasco: uno per tutti, il quartier generale dei servizi d’intelligence
dell’Aeronautica, che sono il nerbo dei servizi d’intelligence del regime.
Non mi pare, quindi, che l’attentato al primo ministro siriano sia un indicatore di
un cerchio che si stringe intorno al regime.
D. – Un’escalation di
violenza comunque crescente...
R. – L’escalation va ricondotta a una
situazione sul terreno, che è molto grave oggettivamente, in cui gli scontri tra le
forze ribelli - sia quelle islamiste che quelle “laiche” del Free Sirian Army e le
forze lealiste - vanno avanti perché nessuno dei due contendenti, almeno finora, sembra
avere la forza per superare l’altro.
D. – La questione delle armi chimiche:
si continua a discutere sull’utilizzo da parte di Assad. La Francia chiede l’intervento
dell’Onu per accertarlo. Qual è la situazione, secondo lei?
R. – La Siria storicamente,
tradizionalmente, ha un arsenale chimico molto sviluppato. Per la Siria, il possesso
di armi chimiche era sempre stato visto da un punto di vista della dottrina militare
come una sorta di deterrente a basso costo nei confronti di Israele. E’ possibile
che in qualche misura, in qualche contesto, vi abbia fatto, come si dice, un ricorso
limitato. Ovviamente, se tutto questo dovesse essere accertato, sarebbe il superamento
della cosiddetta "linea rossa", che nella comunità internazionale è il punto di non
ritorno per attivare una qualunque forma d’intervento – posto che, comunque, il primo
passo deve essere quello dell’accertamento dell’utilizzo e quindi dell’invio di insigni
osservatori Onu in Siria. Dopo di che, bisognerà capire come intervenire: l’implementazione
della no-fly zone, l’eventuale messa in sicurezza dei siti di armi chimiche.
Pensare poi a un eventuale intervento di terra sul modello presente dell’Iraq, mi
pare francamente fuori della realtà. Con le disponibilità e con le volontà che animano
oggi le potenze occidentali, se s’interviene, l’intervento sarà assolutamente circoscritto
e limitato.
D. – Chi sta sostenendo chi in questo conflitto? Da una parte i
rivoltosi chiedono il sostegno della comunità internazionale, che anche su questo
punto è divisa; dall’altra, hezbollah starebbe sostenendo il regime...
R. –
Da una parte l’Iran che supporta la Siria, che ha nella Siria il principale alleato
nella regione, e che non si può permettere di perdere in questo senso un amico come
Assad nella regione e che, per intervenire, utilizza lo strumento di hezbollah. Dall’altra,
abbiamo gli Stati del Golfo, in primis Arabia Saudita e Qatar, che appoggiano le fazioni
dei ribelli, soprattutto, ahinoi, le fazioni radicali islamiche, per combattere il
regime di Assad, che non dimentichiamoci è amico appunto dell’Iran, il quale Iran
è il principale nemico dei Paesi arabi sunniti nel Golfo.
D. – Che ruolo gioca
l’Iraq in questo scenario?
R. – l’Iraq si sta avvitando su una spirale di settarismo
molto, molto pericolosa. L’Iraq viene utilizzata dall’Iran per aiutare il regime di
Bashar al Assad. Il territorio iracheno viene utilizzato anche dalle milizie qaediste
che combattono in Siria, che hanno forti legami con le milizie qaediste,che
ancora operano in Iraq, soprattutto nella parte occidentale del Paese. L’Iraq, quindi,
diventa una sorta di retrovia logistica, anche se molto importante, del conflitto
siriano.
D. – Quindi gioca un ruolo doppio: da una parte viene utilizzato dall’Iran
per sostenere il regime; dall’altro, è praticamente terreno di rientro per quanto
riguarda le milizie anti Assad...
R. – Assolutamente sì e questo è l’indicatore
più rilevante della debolezza e dell’instabilità che, tuttora, regna in Iraq.