Rapporto “Osservasalute 2012”: aumentano le disuguaglianze nell'accesso ai servizi
Aumenta l’aspettativa di vita degli italiani nonostante la crisi economica, ma crescono
anche le diseguaglianze nell'accesso ai servizi. E’ quanto emerge dal “Rapporto Osservasalute
2012” presentato a Roma nella sede dell’Università Cattolica. L’indagine presenta
una dettagliata analisi sullo stato di salute degli italiani e sulla qualità dell’assistenza
sanitaria a livello regionale. Su questo studio, frutto del lavoro di ricercatori
distribuiti su tutto il territorio italiano, ascoltiamo al microfono di Amedeo
Lomonaco, il prof. Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio Nazionale
sulla Salute nelle regioni italiane:
R. – Nonostante
la crisi finanziaria, nonostante il peggioramento degli stili di vita e anche una
crescente difficoltà di accesso ai servizi, l’aspettativa di vita degli italiani continua
a crescere. Ma ci sono molte ombre legate ad un aumento delle disuguaglianze fra Nord
e Sud, disuguaglianze tra ricchi e poveri e anche una crescente difficoltà, soprattutto
da parte di questi ultimi, di accedere ai servizi.
D. – Tra i vari trend si
segnala in particolare che gli italiani si fanno sempre più aiutare dagli anti-depressivi
e continua ad aumentare il rischio suicidi...
R. – Quello dell’aumento dei
farmaci anti-depressivi è un fenomeno che ultimamente sta crescendo in maniera veramente
impressionante. I motivi possono essere due: una minore paura di ricorrere ai farmaci
e allo psichiatra, ma anche, probabilmente, un uso improprio di questi farmaci per
aiutare a gestire situazioni di difficoltà e d’incertezza. I suicidi sono ancora un
numero basso, perché gli italiani, come il resto degli europei del Sud, fortunatamente
ricorrono poco a questo gesto estremo. Quello che però sta aumentando è il dato relativo
ai suicidi per motivi economici. Sono soprattutto dei maschi, rispetto ai suicidi
in generale, che riguardano maggiormente le femmine.
D. – Poi gli italiani
sono sempre più sedentari, quindi hanno un rapporto non sempre positivo con la bilancia...
D.
– Questo è l’elemento di preoccupazione per il futuro, perché significa che mangiano
male: abbandonando sempre di più – e paradossalmente di più al Sud – la dieta mediterranea,
a base di pesce, verdura, frutta e olio d’oliva… E poi fanno poca attività fisica,
per cui noi abbiamo una situazione in cui ormai, di fatto, un italiano su due è sovrappeso
e un italiano su nove è obeso.
D. – Abbiamo parlato di differenze tra Nord
e Sud, tra ricchi e poveri e anche differenze che poi si riverberano nelle Regioni.
Come appianare queste divergenze su tutto il territorio italiano?
R. – Questo
è un vero problema, una vera sfida, che il nuovo governo dovrà affrontare, perché,
di fatto, sulla sanità questa eterogeneità dipende dal fatto che ormai sono le Regioni
ad avere la responsabilità dei servizi sanitari. Questo determina un’eterogeneità
che non c’è in nessun altro Paese. Le tensioni che ci sono tra il governo che vuole
risparmiare, e le regioni che invece vogliono aumentare la spesa sanitaria portano
ad aumentare, piuttosto che a diminuire, questa conflittualità.
D. – Questo
determina dei problemi proprio nella gestione della salute...
R. – Sì, perché
di fatto, noi, come media nazionale, spendiamo praticamente il 30 per cento in meno
rispetto alla Francia e alla Germania, anche in virtù dei tagli che abbiamo fatto
in passato e che faremo nel futuro. A questi livelli, oggettivamente, un sistema sanitario
moderno non è gestibile, per cui si ricorre sempre di più ai ticket e ai co-pagamenti
dei cittadini, i quali però gravati dalla crisi finanziaria e da una tassazione troppo
forte non possono alla fine pagarsi non solo le prestazioni, ma neanche i ticket.
Noi, quindi, dobbiamo uscire da questa contrapposizione e dobbiamo pensare che la
sanità, la scuola, l’università, la ricerca sono voci su cui non si può tagliare.
Si deve razionalizzare la spesa sanitaria, si devono in qualche modo evitare gli sprechi,
che ci sono, ma non si può tagliare oltre quanto abbiamo fatto fino ad oggi, pena
un deficit strutturale del Paese. In termini di salute, questo significa vivere meno
e vivere peggio.