40 anni fa la morte di Maritain, maestro nell'arte di pensare, vivere e pregare
E’ considerato uno dei massimi esponenti del tomismo nel XX secolo, molto apprezzato
da Paolo VI e autore dell’opera “Umanesimo integrale”. A 40 anni dalla morte del filosofo
francese Jacques Maritain, viene ricordata l’attualità del suo pensiero. Nato il 18
novembre 1882 e morto il 28 aprile del 1973, a segnare la sua vita la profonda relazione
con la moglie Raissa con la quale si converte al cattolicesimo nel 1906. Maritain
si appassiona a San Tommaso e alla fine della sua vita entrerà nella comunità religiosa
dei Piccoli Fratelli di Gesù. Debora Donnini ha intervistato Giovanni Grandi,
presidente del Centro studi Jacques Maritain:
R. – O tutto
ruota attorno a se stessi, con una serie di problemi a cascata, di ordine relazionale
e sociale, oppure la vita riesce a ruotare attorno a un altro fuoco, che in senso
teologico potremmo dire senz’altro la relazione con Dio, ma in senso più ampio è la
relazione con l’altro. Maritain guardava una modalità di vita aperta al dono di sé:
è la grande alternativa all’autoreferenzialità. Quindi, questo è il suo umanesimo
fondamentalmente: un umanesimo delle relazioni.
D. – Lui parte dal tomismo:
partendo da questa concezione che si basa sull’esistenza della Verità –e quindi,
in un certo senso, questo è già un contrasto forte al relativismo – come passa ad
applicare questo alle relazioni umane?
R. – Maritain sostiene che non c’è tolleranza
tra sistemi filosofici, cioè tra prospettive e visioni d’insieme, ma il rapporto vero
è quello che si realizza tra le persone. Quindi, persone che hanno visioni teoriche
diverse e anche appartenenze culturali diverse, non devono tanto cercare di creare
una sintesi tra le loro visioni, ma piuttosto cercare quella che lui chiamava la “human
fellowship” – una cordiale amicizia – nel confrontarsi, nel dialogare, nel portare
delle ragioni. In altre parole, lavorando tutti per la verità, ma puntando a creare
buone reazioni fra le persone.
D. – Invece, per quanto riguarda, per esempio,
le relazioni affettive che è un tema oggi molto attuale, quale era il suo pensiero
in questo senso?
R. – Maritain ha scritto anche a proposito delle relazioni
affettive, ma soprattutto ha vissuto un rapporto molto bello, sponsale con Raissa:
Raissa leggeva tutte le opere di Maritain prima che fossero pubblicate. Scriveva “Imprimatur”
proprio sulla prima pagina se le andavano bene e se non andavano bene chiedeva a Jacques
di rivederle. Dovremmo ricordare una coppia, cioè due persone che nella loro reazione
di sposi, hanno elaborato un pensiero, vivendo una bella vita affettiva, particolare
anche per la loro vocazione, ma riuscendo a tradurre questa complementarietà tra l’uomo
e la donna in un pensiero e poi anche in forme pratiche dell’accoglienza nella casa
di Meudon, dove vivevano, e quindi nelle grandi amicizie che hanno saputo coltivare
insieme.
D. – Per Maritain, amare è anche saper soffrire insieme…
R.
– Questo lo dice anche dal punto di vista biografico, perché Raissa è stata spesso
malata, poi ha superato alcune malattie ed è morta molto, molto prima di Jacques.
Saper soffrire insieme per Jacques significava saper affrontare quello che nella vita
di ogni giorno accade, riuscendo però a riportarlo anche all’interno della vita di
preghiera e della vita di relazione.
D. – Nel suo pensiero Maritain, parlando
dell’umanesimo integrale, vuole contrapporsi e trovare una via diversa rispetto all’individualismo,
quindi al liberalismo da una parte e dall’altra rispetto al marxismo, ma anche rispetto
a ciò che viene prima storicamente e alla modernità…
R. – Questa centralità
del soggetto forse è stata la cifra che Maritain ha cercato di studiare e di ripensare,
senza cadere nell’altro opposto: senza cadere cioè nell’opposto che lui ha contestato
a tutti i totalitarismi, ma poi in particolare anche al marxismo, che è quello di
dissolvere la particolarità della persona, le sue esigenze, la sua irripetibilità
all’interno di una dimensione del noi, in cui non ci sono più le differenze. Ha cercato
di cogliere, invece, cosa ci rende tutti uguali, pur nella irripetibilità delle storie
di ciascuno. All’indomani della morte, Paolo VI ha ricordato Maritain con una frase
molto bella: lo ha definito “maestro nell’arte di pensare, di vivere e di pregare”.
Maritain è stato un uomo di pensiero e insieme anche un uomo di preghiera. Proprio
questi due aspetti hanno fatto sì che diventasse un maestro nella vita: non c’è vita
autentica se non è impastata di preghiera e di pensiero insieme. Questo credo sia
un messaggio molto, molto interessante che Maritain, da laico, ha lasciato anche nel
tempo del dopo-Concilio. Sicuramente, l’ermeneutica che - potremmo dire - ha sviluppato
Maritain, anche nel Concilio, anche ne “Le paysan de la Garonne” - testo molto discusso
- è molto vicino a quella che ci ha suggerito, in tempi più recenti, Benedetto XVI:
un’ermeneutica della continuità.
Alla chiusura del Concilio Vaticano II, Paolo
VI consegnò proprio a Jacques Maritain, in rappresentanza degli intellettuali, il
suo Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza. Ma quale è l’attualità del pensatore
cattolico francese, del suo umanesimo? Debora Donnini lo ha chiesto al prof.
Piero Viotto, già docente di Pedagogia presso l’Università Cattolica di Milano
ed esperto di Maritain:
R. – E’ chiaro che la posizione di Maritain da “Umanesimo
integrale”, che è l’opera più nota, fino a “Il contadino della Garonna” è superare
l’opposizione tra liberalismo e socialismo, indicando una terza via, che è il personalismo.
Quindi, il punto di riferimento della relazione sociale non è il singolo individuo
con i suoi interessi o la società attraverso lo Stato, ma è la persona umana. Secondo
Maritain, tutto questo va riportato alla filosofia di San Tommaso, perché è nella
tradizione di Aristotele, di Tommaso, che si pone l’uomo al centro delle relazioni
sociali.
D. – Che ruolo ha in questo senso il cristianesimo, secondo Maritain?
R.
– Ha un ruolo fondamentale, perché l’uomo non è destinato soltanto a migliorare questo
mondo, ma è destinato alla contemplazione di Dio. Non dimentichiamo che Maritain è
morto Piccolo Fratello di Gesù, a Tolosa. Quindi il fine della vita non è produrre
beni di consumo, ma è contemplare la bellezza, la verità, le relazioni fraterne. In
questo senso, il cristianesimo è un elemento determinante. Anzi, lui precisa che senza
il cristianesimo l’umanità sarebbe perduta e si raccorda a De Lubac quando parla del
dramma dell’umanesimo ateo. Sia De Lubac sia Maritain infatti mettono in evidenza
questo fatto: se mettiamo da parte Dio, l’uomo rimane solo con se stesso e muore.
D.
– Questa concezione di Maritain, l’umanesimo integrale, lui la applica anche a quelle
che sono le relazioni umane personali?
R. – Evidentemente Maritain ha discusso
tutto questo con sua moglie. E’ un pensiero comune. Non soltanto lo applica a se stesso
e scrive un bellissimo libro “Amore ed Amicizia”, ma soprattutto giunge a fare una
filosofia di queste cose, affermando che non bisogna tarare tutto sul sapere o tutto
sul conoscere. La filosofia antica era legata al sapere, all’oggettività della verità,
la filosofia moderna è legata alla soggettività della conoscenza, Maritain fa l’operazione
di riunire tutte queste cose.