Guantanamo: si estende la protesta dei detenuti che da anni attendono un processo
Sale il numero di detenuti in sciopero della fame nel carcere di Guantanamo, a Cuba.
Il numero è ormai arrivato a circa 100 prigionieri, di cui 19 alimentati in modo forzoso.
All’origine della protesta, cominciata nel febbraio scorso, la denuncia delle condizioni
di vita nella struttura e la mancanza di un processo, oppure di un capo di imputazione.
La Casa Bianca segue la vicenda e ha fatto sapere che il presidente Obama continua
a ritenere che il carcere dovrebbe essere chiuso. Eugenio Bonanata ha chiesto
l'opinione di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:
R. – E’ sintomo
di una disperazione profonda che stanno patendo i detenuti di Guantanamo, perché non
vedono un futuro, non vedono una speranza, non vedono la possibilità di una evoluzione
nella loro condizione, che è quella di un "limbo" giuridico nel quale sono da tanti
anni e che non prevede per molti di loro la possibilità di uscire, né tantomeno di
essere processati.
D. – Lamentano le rigide condizioni a cui sono sottoposti:
che cosa si sa di questo?
R. – Ci sono lamentele e proteste specifiche che
riguardano perquisizioni particolarmente invadenti e in altri casi il vecchio tema
della profanazione di testi religiosi. Però, al di là di questo, le stesse autorità
militari hanno definito correttamente, io credo, questo sciopero della fame come il
sintomo di una profonda disperazione complessiva. Quindi, al di là degli episodi che
pure non mancano, o dell’indubbio miglioramento delle condizioni detentive a Guantanamo
nel corso degli anni, all’origine di tutto c’è proprio questa assenza di prospettive,
l'impossibilità di ricorrere a qualcuno che prenda finalmente una decisione, che sia
ribadire la non colpevolezza: in senso più ampio, quello che Amnesty chiede da tanto
tempo, di chiudere cioè il centro di detenzione di Guantanamo.
D. – Qual è
lo status dei detenuti di Guantanamo?
R. – Per 48 di loro, è uno status arbitrario
e senza precedenti. Ovvero, non saranno rilasciati e non saranno neanche processati.
Questi 48 sono in sciopero della fame, assieme agli altri. Altre decine sono stati
già riconosciute non colpevoli, però ci sono condizioni di sicurezza, secondo l’amministrazione
Obama, che ne impediscono il ritorno in patria e si tratta sostanzialmente di yemeniti.
Complessivamente, la situazione dal punto di vista dei “successi giudiziari” di Guantanamo
è misera, perché ci sono state poche condanne. Ci sono processi che vanno avanti nei
confronti di sei imputati presso le commissioni militari e, se pensiamo che per Guantanamo
sono transitate 800 persone, è veramente un bilancio misero, completamente insufficiente
e ottenuto tra l’altro in spregio delle norme internazionali.
D. - Per l'appunto,
tutto questo è legale?
R. – No, non è legale. Questo è un diritto internazionale
che si è inventato l’amministrazione Bush dopo quei crimini orrendi contro l’umanità
commessi a New York nel 2001 e che anche l’amministrazione Obama non ha smantellato
fino in fondo. Sono stati presi provvedimenti riguardo alle forme di interrogatorio,
ad altri dettagli, ma l’architettura della guerra al terrore dell’amministrazione
Bush è rimasta intatta. Quello che è persino peggio è che, nonostante Obama avesse
promesso entro un anno dal suo primo mandato di chiudere Guantanamo, non solo Guantanamo
è aperta, ma non c’è alcuna prospettiva che sia chiusa.
D. – I fatti di Boston
di questi giorni possono rallentare questo percorso?
R. - E’ possibile che
ci sia nell’opinione pubblica e in alcuni responsabili politici la tentazione, o l’emozione
legittima, di collegare quell’orribile episodio di Boston con la situazione della
sicurezza e dunque di considerare Guantanamo un luogo dove isolare presunte minacce
alla sicurezza degli Stati Uniti. Finora, però, non ha pagato contrastare il terrorismo
con la guerra al terrore perché vediamo che avvengono episodi gravi negli Stati Uniti,
ma soprattutto altrove, sempre contro obiettivi statunitensi, contro turisti, contro
occidentali. Dunque, tutto questo non ha pagato. Amnesty International lo sostiene
da anni. Noi vorremmo vedere un salto in avanti, cioè che Obama riprenda quell’idea
di chiudere Guantanamo e che si trovi una qualche soluzione col Congresso che è ostile.
Perché finché Guantanamo resta aperta, è una ferita al diritto internazionale.
D.
– In sintesi, cosa manca per la chiusura?
R. – La volontà politica da parte
del Congresso degli Stati Uniti e questa mancanza di volontà politica è diventata
un comodo alibi per l’amministrazione Obama, per il Pentagono, per allontanare quella
prospettiva. Dunque, oggi siamo in assenza di questa volontà politica, che è poi quell’elemento
che scatena la disperazione dei quasi 100 detenuti in sciopero della fame.