2013-04-27 15:26:05

Guantanamo: si estende la protesta dei detenuti che da anni attendono un processo


Sale il numero di detenuti in sciopero della fame nel carcere di Guantanamo, a Cuba. Il numero è ormai arrivato a circa 100 prigionieri, di cui 19 alimentati in modo forzoso. All’origine della protesta, cominciata nel febbraio scorso, la denuncia delle condizioni di vita nella struttura e la mancanza di un processo, oppure di un capo di imputazione. La Casa Bianca segue la vicenda e ha fatto sapere che il presidente Obama continua a ritenere che il carcere dovrebbe essere chiuso. Eugenio Bonanata ha chiesto l'opinione di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:RealAudioMP3

R. – E’ sintomo di una disperazione profonda che stanno patendo i detenuti di Guantanamo, perché non vedono un futuro, non vedono una speranza, non vedono la possibilità di una evoluzione nella loro condizione, che è quella di un "limbo" giuridico nel quale sono da tanti anni e che non prevede per molti di loro la possibilità di uscire, né tantomeno di essere processati.

D. – Lamentano le rigide condizioni a cui sono sottoposti: che cosa si sa di questo?

R. – Ci sono lamentele e proteste specifiche che riguardano perquisizioni particolarmente invadenti e in altri casi il vecchio tema della profanazione di testi religiosi. Però, al di là di questo, le stesse autorità militari hanno definito correttamente, io credo, questo sciopero della fame come il sintomo di una profonda disperazione complessiva. Quindi, al di là degli episodi che pure non mancano, o dell’indubbio miglioramento delle condizioni detentive a Guantanamo nel corso degli anni, all’origine di tutto c’è proprio questa assenza di prospettive, l'impossibilità di ricorrere a qualcuno che prenda finalmente una decisione, che sia ribadire la non colpevolezza: in senso più ampio, quello che Amnesty chiede da tanto tempo, di chiudere cioè il centro di detenzione di Guantanamo.

D. – Qual è lo status dei detenuti di Guantanamo?

R. – Per 48 di loro, è uno status arbitrario e senza precedenti. Ovvero, non saranno rilasciati e non saranno neanche processati. Questi 48 sono in sciopero della fame, assieme agli altri. Altre decine sono stati già riconosciute non colpevoli, però ci sono condizioni di sicurezza, secondo l’amministrazione Obama, che ne impediscono il ritorno in patria e si tratta sostanzialmente di yemeniti. Complessivamente, la situazione dal punto di vista dei “successi giudiziari” di Guantanamo è misera, perché ci sono state poche condanne. Ci sono processi che vanno avanti nei confronti di sei imputati presso le commissioni militari e, se pensiamo che per Guantanamo sono transitate 800 persone, è veramente un bilancio misero, completamente insufficiente e ottenuto tra l’altro in spregio delle norme internazionali.

D. - Per l'appunto, tutto questo è legale?

R. – No, non è legale. Questo è un diritto internazionale che si è inventato l’amministrazione Bush dopo quei crimini orrendi contro l’umanità commessi a New York nel 2001 e che anche l’amministrazione Obama non ha smantellato fino in fondo. Sono stati presi provvedimenti riguardo alle forme di interrogatorio, ad altri dettagli, ma l’architettura della guerra al terrore dell’amministrazione Bush è rimasta intatta. Quello che è persino peggio è che, nonostante Obama avesse promesso entro un anno dal suo primo mandato di chiudere Guantanamo, non solo Guantanamo è aperta, ma non c’è alcuna prospettiva che sia chiusa.

D. – I fatti di Boston di questi giorni possono rallentare questo percorso?

R. - E’ possibile che ci sia nell’opinione pubblica e in alcuni responsabili politici la tentazione, o l’emozione legittima, di collegare quell’orribile episodio di Boston con la situazione della sicurezza e dunque di considerare Guantanamo un luogo dove isolare presunte minacce alla sicurezza degli Stati Uniti. Finora, però, non ha pagato contrastare il terrorismo con la guerra al terrore perché vediamo che avvengono episodi gravi negli Stati Uniti, ma soprattutto altrove, sempre contro obiettivi statunitensi, contro turisti, contro occidentali. Dunque, tutto questo non ha pagato. Amnesty International lo sostiene da anni. Noi vorremmo vedere un salto in avanti, cioè che Obama riprenda quell’idea di chiudere Guantanamo e che si trovi una qualche soluzione col Congresso che è ostile. Perché finché Guantanamo resta aperta, è una ferita al diritto internazionale.

D. – In sintesi, cosa manca per la chiusura?

R. – La volontà politica da parte del Congresso degli Stati Uniti e questa mancanza di volontà politica è diventata un comodo alibi per l’amministrazione Obama, per il Pentagono, per allontanare quella prospettiva. Dunque, oggi siamo in assenza di questa volontà politica, che è poi quell’elemento che scatena la disperazione dei quasi 100 detenuti in sciopero della fame.







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