Giornata dei cresimandi: decine di migliaia di ragazzi e ragazze dai cinque continenti
pellegrini a Roma
Cinque continenti per 44 cresimandi, con età oscillante dagli 11 ai 55 anni. Sono
loro che ieri mattina, in Piazza San Pietro, ad aver ricevuto dalle mani di Papa Francesco
il Sacramento della Confermazione. Già da sabato in Vaticano, decine di migliaia di
ragazze e ragazzi, di varie parti del mondo, hanno iniziato il loro percorso di fede
in preghiera sulle tombe dei Papi, nel primo dei due giorni organizzati dal Pontificio
Consiglio per la Nuova evangelizzazione, nell’Anno della Fede. Fabio Colagrande
ne ha parlato con don Krzysztof Marcjanowicz, officiale del dicastero:
R. – I cresimandi
sono persone che di per sé sono state chiamate a testimoniare la fede. Ricevono il
dono dello Spirito Santo per poter presentare la fede nella vita matura, testimoniarla
con la propria vita e viverla. Perciò, nell’Anno della Fede non potevano mancare proprio
i cresimandi con la loro testimonianza di vita.
D. – Come avete scelto i ragazzi
che riceveranno la Cresima dalle mani di Papa Francesco?
R. – I criteri erano
diversi, però posso dire che il primo era quello di far venire i ragazzi da Paesi
dove la libertà religiosa è spesso compromessa, quelli che hanno maggiore difficoltà,
quelli che nella vita quotidiana professano spesso la fede con il proprio sangue.
C’è la Nigeria, il Congo, Paesi dove uno che dice “sono credente, sono cristiano,
sono una persona che crede in Gesù Cristo” rischia di essere anche ucciso a causa
della propria fede. Questo è stato il nostro criterio principale. Poi, ovviamente,
ci sono anche persone che devono professare la propria fede in società che sono molto
avverse alla fede. Sappiamo bene come si vive la fede oggi: non è di moda e spesso
i ragazzi che vogliono professarla, che vogliono testimoniarla anche nelle nostre
società, nell’Europa e in America, vengono per questo derisi. Perciò, vogliamo rafforzare
la loro fede mostrando proprio quel momento comune della preghiera, della gioia, che
condividiamo qui in piazza San Pietro e nell’Aula Paolo VI.
D. – Oggi, lei
ha incontrato queste famiglie, questi giovani, questi cresimandi: che clima c’è?
R.
– Dà una soddisfazione enorme vedere questi ragazzi, sentire le loro testimonianze
di vita. A dire il vero, è cambiata anche la vita delle loro famiglie. Ho già sentito
alcuni che dicono che il frutto concreto di questa loro venuta è la conversione di
qualche familiare. Perciò, noi vediamo come incide l’incontro tra la grazia di Dio
e questi ragazzi: è la grazia che passa tramite le mani del nostro Pontefice.
Diverse
le storie dei giovani cresimandi, come quella di un ragazzo di Carpi, duramente coinvolto
nel sisma emiliano dello scorso anno, di cui parla don Roberto Vecchi, direttore
dell’Ufficio catechistico della diocesi, intervistato da Fabio Colagrande:
R. – Lui vive
in container ancora fuori casa. Aver scelto lui è un modo per porre al centro l’attenzione
verso chi sta soffrendo ma ha voglia di crescere, di diventare a sua volta portatore
del Vangelo e della speranza. Quindi, si viene aiutati per poter poi aiutare meglio
gli altri.
D. – E’ stato difficile mantenere la catechesi, la preparazione
ai Sacramenti, durante questi mesi dopo il terremoto?
R. – Non è stato per
niente facile. Un po’ perché molte famiglie si sono dovute spostare ed è cambiato
proprio il tessuto sociale, i rapporti... In alcune parrocchie, si è ritardato l’inizio
della catechesi ma per il resto si cerca di creare un po’ di quotidianità, di normalità.
E' stato importante ripartire per dare qualche piccolo punto di riferimento in un
momento in cui tanti punti e tante cose sono crollate.
D. – Quali sono stati
riflessi spirituali dell’esperienza del terremoto sulla comunità di Carpi?
R.
– In positivo, è stata la scoperta della solidarietà, dell’attenzione, di una maggiore
disponibilità a stare insieme, a cercarsi. Però, i problemi sono così aumentati per
la crisi economica che flagellava il territorio. E' come se ci fosse stata una seconda
crisi economica e questo ha certamente messo alla prova tante persone e anche la loro
fede.
D. – In questo senso, questo viaggio a Roma di una parte della vostra
comunità assume un significato particolare?
R. – Sì, per noi è sicuramente
coraggio e speranza: è ritessere tutte le relazioni e sentirsi Chiesa, una Chiesa
più ampia, anche perché abbiamo bisogno di questo respiro grande in un momento in
cui, per colpa del terremoto, le comunità si sono molto sparigliate, disperse. Molti
hanno dovuto prendere casa altrove, oppure vivono nei moduli abitativi provvisori.
E’ una situazione molto complicata. Per noi, vivere un momento di comunione così importante,
addirittura con un respiro mondiale, è qualcosa che dà gioia, speranza e anche un
futuro.
D. – Nella prospettiva della Nuova Evangelizzazione, quanto è importante
sottolineare il valore di questo sacramento, secondo lei, nella vita dei giovani in
particolare?
R. – E’molto importante se preso come un momento di approfondimento
del Battesimo ricevuto. E’ un modo per sentire sempre più personalmente la chiamata
a essere missionario, cioè vivere con "due polmoni": i polmoni di Pietro e di Paolo,
la Chiesa, la comunione, l’evangelizzazione e la missionarietà.