Congo: apre Causa di beatificazione di sei suore italiane vittime dell'Ebola 18 anni
fa
“Testimoni della carità”: così vengono ricordate le sei suore delle Poverelle di Bergamo,
morte 18 anni fa, nella Repubblica Democratica del Congo a causa del virus ebola.
Domani, nella cattedrale di Kikwit, si aprirà la Causa di beatificazione delle religiose
che, di fronte all’epidemia, restarono al fianco dei malati seguendo fedelmente il
carisma del fondatore del loro ordine, il Beato Luigi Palazzolo. Ma cosa significa
l’apertura della Causa di beatificazione? Benedetta Capelli lo ha chiesto alla
postulatrice, suor Linadele Canclini:
R. – Per noi,
l’apertura di questa Causa vuol dire rivivere quel momento drammatico nella luce della
fede, in comunione con la Chiesa di Kikwit, con la Chiesa di Bergamo, con la Chiesa
del Congo, con la Chiesa universale, per guardare a queste nostre sorelle che sono
state modelli di vita, di donazione e di morte.
D. – Lei è in Congo per l’apertura
dell Causa: come si sta vivendo lì questo momento, che è anche un momento di gioia
per tutta la Chiesa?
R. – Di gioia grande. Intanto, la gioia è limitata al
vescovo di Kikwit, al tribunale che è stato istituito, alla condizione storica. Quindi,
è un po' riservata. La gente che però ci incontra, che ci vede, che ricorda questo
avvenimento, comunque è scossa.
D. – Ci sono persone che ricordano le suore
e come le ricordano?
R. – Non è la prima volta che io vengo in Congo e che
incontro persone che le hanno conosciute. Hanno un ricordo fortissimo e addirittura
tante volte hanno detto che sono delle “sante”, ma sappiamo che questo è la Chiesa
che lo dichiara. Loro hanno un ricordo incancellabile di queste persone che sono venute
da lontano, che hanno dato la loro vita. Hanno un ricordo fortissimo della loro donazione.
D.
– Se lei dovesse racchiudere in poche parole il carisma che le ha animate, che poi
è il carisma della vostra Congregazione, cosa direbbe in proposito?
R. – Direi
due frasi: una del Vangelo e una del nostro fondatore. Quella del Vangelo è: “Non
c’è amore più grande di chi dà la vita per i fratelli”. Per quanto riguarda la seconda
frase, queste nostre suore hanno fatto rifiorire il carisma del Beato Palazzolo in
terra africana, erano non solo vincolate da un voto ma lo hanno fatto per libera scelta.
Il voto che le prime suore facevano era questo: “Le suore delle poverelle assisteranno
i malati poveri anche in tempo di malattie contagiose e di peste”. Praticamente loro,
di fronte all'Ebola, non solo non hanno temuto, ma sono andate sul campo di battaglia
per sconfiggerla, in aiuto dei fratelli malati.
D. – Ci descrive queste sei
sorelle?
R. – Sono state unite da una catena di amore, che è diventata una
catena di morte e che adesso speriamo diventi una catena di gloria. La prima è stata
una delle prime cinque missionarie venute in Congo, con 43 anni di missione alle spalle.
Pare che il virus circolasse da gennaio nei villaggi e in ospedale arrivavano molti
malati. Un malato già operato è stato rioperato nell’ospedale di Kikwit, poiché nessuno
sapeva nulla, e tutto il corpo medico infermieristico è stato contagiato ed è morto.
Altre due suore lavoravano in ospedale con lei nei diversi padiglioni e una suora,
la più giovane, è venuta ad assistere ed è stata la prima ad essere contagiata e la
terza a morire. Morta la quarta suora, che era già stata a contatto con altri malati,
una delle suore di Kinshasa, suor Vitarosa ha detto: “Suor Anelvira, vengo ad aiutarti”.
Molti hanno cercato di fermarla, ma lei ha aggiunto: “I miei fratelli stanno morendo”
e ha voluto decisamente venire a Kikwit e così è stata la quinta a morire, dopo di
che c’è stata la sesta. Fortunatamente, la morte di sei suore bianche ha scosso il
mondo. L’abbiamo pensato tante volte: pur avendo sofferto moltissimo, l'essere suore
bianche, dalla pelle bianca, ha scosso davvero tutti. Se fossero stati solo i fratelli
congolesi, forse non si sarebbe fatto molto. Il sacrificio delle nostre suore è invece
servito a salvare la vita di molti altro fratelli congolesi.
D. – Oggi, secondo
lei, che cosa ci insegnano queste sei suore?
R. – Ci insegnano la fedeltà continua
al proprio dovere quotidiano. Un missionario che le ha conosciute molto bene ha detto:
“Le suore delle poverelle morte a Kikwit potremmo definirle eroi per abitudine”. Proprio
in questi giorni parlavo con le mie consorelle, che mi hanno detto: “Dove sta il loro
eroismo?” Erano persone comuni, generose, che non hanno fatto niente di straordinario,
ma il loro è stato l’eroismo di tutti i momenti, per il Signore e per i fratelli bisognosi
e malati più poveri.