Anche Bce e Fmi contro l’austerity, Berlino frena. Becchetti: allentare il rigore
Dopo tutti i sacrifici fatti finora, i Paesi possono allentare gli sforzi di risanamento
dei conti pubblici e avviare subito le riforme per la crescita: sono parole del commissario
europeo Olli Rehn ma a prendere posizione contro l’austerity sono anche la Bce e il
Fmi. La Germania frena. Il servizio di Fausta Speranza:
Meno rigore
sui conti pubblici: il commissario agli Affari economici Olli Rehn parla di “politiche
di bilancio credibili” e di specificità dei vari Paesi da considerare. E’ cambio di
rotta. E la Commissione non è sola. Il vicepresidente della Bce, Constancio, dichiara
che “si può cambiare passo” e il Fmi invita l'Europa ad “evitare i rischi di stagnazione
spingendo sulla crescita”. E nelle stesse ore in Italia il premier incaricato Enrico
Letta fa sapere che vorrebbe rinegoziare il rigore. Ma arriva il freno della Germania:
il ministro delle Finanze, Schaeuble, difende, in un’intervista ad una radio tedesca,
il risanamento e a proposito dell’Italia dice che è “una sciocchezza scaricare sugli
altri i propri problemi”: sottolinea i ritardi nel formare il governo che danneggiano
l’economia. Sullo sfondo delle dichiarazioni, i disordini ieri sera a Madrid alla
manifestazione contro l’austerity del premier Rajoy. La Spagna ha superato i 6 milioni
di disoccupati: oltre il 27% della forza lavoro. E c’è da dire che anche la Francia
registra il suo record disoccupazione: oltre 3 milioni di senza lavoro.
Della
necessità di una inversione di rotta sul rigore, Fausta Speranza ha parlato
con il prof. Leonardo Becchetti, docente di economia politica all’Università
Tor vergata:
R. – Bisogna
cambiare politiche: ci vogliono politiche macroeconomiche, fiscali e monetarie molto
più espansive. E poi, all’interno dell’Europa, non ha senso la camicia di forza imposta
all’Italia: se si pensa che oggi l’Olanda ha un deficit del 4,1 per cento e noi in
Italia stiamo soffocando con un deficit del 2,3 non si capisce perché l’Italia non
debba avere, in questo momento difficile, uno spazio maggiore per quelle risorse che
ci servono come il pane per ridurre un po’ la pressione fiscale e far ripartire un
po’ la domanda interna.
D. – Cosa dovrebbe fare effettivamente Bruxelles per
invertire la rotta?
R. – Dovrebbe eliminare l’attuale vincolo del 3 per cento
che non ha nessun senso, né teorico, né empirico … Ci sono stati i lavori del Fondo
monetario, la confutazione di alcuni lavori dei sostenitori del rigore: non ha nessun
senso, questo 3 per cento. E’ stato dimostrato, invece, che fare troppi sacrifici
porta addirittura ad un aumento del rapporto debito-pil, non ad una riduzione, perché
praticamente gli effetti recessivi sono troppo forti. In Italia, nell’ultimo anno,
quattro punti in meno di pil sono stati generati dal crollo della domanda interna.
Poi, due punti li abbiamo recuperati con l’aumento delle esportazioni. Quindi, poiché
da un punto di vista sia teorico sia empirico non ha alcun senso, questa cosa va rimossa.
Ovviamente, questo non vuol dire che bisogna spendere in maniera sbagliata, ma quei
soldi in più che dobbiamo avere vanno usati molto bene: per esempio, per pagare i
debiti della pubblica amministrazione, per aumentare il fondo di garanzia centrale
per le banche per fare credito alle piccole e medie imprese … Quindi, i soldi vanno
usati bene, però la camicia di forza che ci siamo imposti non ha senso né in generale
per l’Europa, né per l’Italia, rispetto agli altri Paesi.
D. – Il coro è stato
unanime: Commissione europea, Fondo monetario e la Bce. Ma la Germania frena questa
inversione di tendenza sul rigore …
R. – E’ rimasta ormai l’unica la voce della
Germania; tra l’altro, anche la Germania sta pagando le conseguenze del rigore perché
nell’ultimo trimestre dello scorso anno è andata in recessione anche lei … Prima o
poi, anche l’opposizione della Germania dovrebbe essere vinta. Quello che è grave
è il ritardo che c’è stato sia da parte delle istituzioni sia da parte di alcuni economisti,
nel capire gli errori che sono stati fatti.
D. – Nel frattempo: in Spagna,
sei milioni di disoccupati; ma anche la Francia raggiunge il suo record …
R.
– L’Europa, o si sveglia o rischia, e rischia l’euro. Quindi, deve mettere in prima
linea la lotta alla disoccupazione guardando anche agli esempi degli altri Paesi.
Prendiamo gli Stati Uniti, dove la Banca centrale con un’azione – se vogliamo – rivoluzionaria,
rispetto al passato, ha detto che il suo obiettivo fondamentale è far scendere la
disoccupazione sotto il 6 per cento. Quindi, una Banca centrale che si preoccupa prima
di tutto della disoccupazione e poi dell’inflazione, non si era mai sentito. In
questo, la Bce dovrebbe seguire l’esempio, dato che oggi è la Banca centrale l’istituzione
economica che ha la forza maggiore per poter modificare la realtà dell’economia.
D.
– Uno sguardo allargato: il presidente francese in Cina, i colossi asiatici che “minacciano”
Stati Uniti e soprattutto l’Europa. Che cosa fare?
R. – Non è necessariamente
una minaccia. Sappiamo che in questo momento nel mondo c’è convergenza. Mai l’economia
è andata così bene, perché tutte le aree del mondo stanno crescendo. La crescita media
mondiale è del 5 per cento. L’unica zona veramente in crisi è l’Europa del Sud: quindi,
siamo noi che dobbiamo uscire dalle nostre anomalie di cui abbiamo parlato poco fa,
e cogliere il positivo che c’è in questa crescita forte dei Paesi del sud del mondo.
Vuol dire che bisogna andare in questi Paesi, bisogna esportare, bisogna stabilire
relazioni commerciali perché senz’altro la domanda che viene da questi Paesi può essere
utile anche per noi, se – ovviamente – le nostre aziende sapranno coglierla.