La Svizzera irrigidisce le frontiere per i lavoratori europei, rammarico dell'Ue
In Svizzera il governo attiva la “clausola di salvaguardia” prevista dagli accordi
di libera circolazione tra la Svizzera e la Ue per frenare il numero di lavoratori
europei. E dunque rinnova dal primo maggio il contingentamento deciso l'anno scorso
dei permessi di lunga durata per i cittadini degli otto Stati dell'Europa orientale
e lo estende ai cittadini dell'Europa occidentale e meridionale. Da Bruxelles nessuna
sorpresa per una clausola conosciuta ma comunque viene espresso rammarico. Sul fronte
interno: la sinistra e il padronato hanno criticato la scelta. Soddisfatti invece
i partiti di destra. Negli ultimi anni il numero di stranieri stabilitisi nel Paese
ha superato ogni anno di circa 60.000-80.000 unità quello degli emigranti. Fausta
Speranza ha parlato della presa di posizione della Svizzera con il prof. Germano
Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss:
R. – La Svizzera
è entrata nello spazio Schengen ma non vuol dire che esiste la libera circolazione
tra i nostri Paesi e la Svizzera. L’accordo non viene meno ma gli svizzeri hanno fatto
ricorso ad una clausola di salvaguardia che permette loro per un anno di sottoporre
a contingentamento i visti di lunga permanenza che servono per lavorare. Hanno incominciato
a far così lo scorso anno, con i nuovi Paesi entrati nell’Unione Europea, essenzialmente
quelli dell’Europa centrorientale, e adesso estendono il provvedimento alla parte
rimanente dell’Unione Europea: evidentemente, temono gli effetti della grave recessione
che si è abbattuta soprattutto sui Paesi meridionali dell’Unione Europea e temono
soprattutto che si possa generare un flusso incontrollato di migranti. La cosa interessante
è che persino le forze armate svizzere stanno prendendo in considerazione scenari
di difesa intensificata delle proprie frontiere rispetto ad improvvisi deflussi migratori
dai Paesi vicini.
D. – Dunque, parliamo di questione migratoria: prima l’Europa
aveva il fronte del Mediterraneo da cui giungevano persone e ora invece si profila
un altro fronte dal quale uscirebbero persone…
R. – Evidentemente, sì. D’altra
parte, perfino nel nostro Paese, l’Italia, è un dato che fa discutere il fatto che
sia ripresa una emigrazione verso l’estero specialmente da parte dei nostri giovani.
Nel caso in cui venisse meno, per esempio, l’unione monetaria, se crollasse l’euro,
non sarebbero da escludere sconvolgimenti tali da generare anche disordini e magari
la voglia, in molte persone, di far fortuna altrove.
D. – Anche senza ipotizzare
scenari ancora non intravisti …
R. - … speriamo non si verifichino, certo …
D.
- … Speriamo tanto non si verifichino e, al di là di questi scenari, facciamo una
riflessione tra il simbolico e il pratico, di questa presa di posizione della Svizzera...
R.
– A volerla mettere così, diciamo che gli svizzeri hanno dato nuovamente prova di
una forte resistenza all’idea di integrare grandi masse di persone non appartenenti
al proprio Paese dentro ai propri confini. Non è un fatto che ci deve stupire più
di tanto: fa parte del loro dna. Ci auguriamo, come tutti, che la situazione economica
nel nostro continente migliori e che quindi i loro timori possano essere dissipati.
D.
– Facciamo anche una riflessione sulle risorse: un Paese così piccolo – perché, dal
punto di vista del territorio, non c’è confronto tra l’Unione Europea ormai a 28 Paesi
(a luglio entrerà la Croazia) e il territorio della Svizzera – nel quale, però, si
concentrano risorse monetarie e finanziarie notevoli ...
R. – Bè, c’è una grandissima
tradizione nell’industria creditizia che rappresenta effettivamente la “gallina dalle
uova d’oro” per la Confederazione elvetica. E’ stato anche un vantaggio, in momenti
particolari della storia del nostro continente, che la Svizzera rimanesse neutrale:
penso in modo particolare alle due guerre mondiali quando, effettivamente, la Svizzera
poi offrì rifugio a perseguitati politici, ad ebrei che cercavano di sottrarsi alle
persecuzioni naziste; ma penso evidentemente anche a ricchezze che dovevano essere
salvaguardate rispetto alle sorti mutevoli della guerra.