2013-04-22 15:33:03

Nigeria: scontri tra esercito e Boko Haram. Appello di Ban Ki-moom. La Chiesa: stop a diffusione di armi


La Nigeria scossa nel fine settimana da nuovi violenti scontri tra esercito governativo e miliziani del movimento islamico Boko Haram. 187 i morti e 77 i feriti rinvenuti a Baga, in un remoto villaggio di pescatori sul lago Ciad nello Stato di Borno, nel nord-est del Paese. Tra le vittime soldati e guerriglieri, ma soprattutto civili. Le violenze sono scoppiate dopo che era stata circondata una moschea dove le truppe di Abuja ritenevano fossero asserragliati i ribelli. Roberta Gisotti ha intervistato la prof.ssa Anna Bono, docente di Storia ed Istituzioni dell’Africa, all’Università di Torino: RealAudioMP3

“Scioccato e addolorato”, il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon ha fatto appello alle parti di porre fine agli attacchi. “Nessuna violenza - ha detto - può giustificare questo ricorso alla violenza”. Una ripresa delle ostilità che arriva dopo l’offerta, il 4 aprile scorso, di un’amnistia da parte del presidente nigeriano Jonathan, che era stata respinta dall’attuale leader di Boko Haram, Shekau, con il commento: “che abbiamo fatto di male”? Come valutare questi ultimi accadimenti? Prof.ssa Bono:

R. - Il governo della Nigeria si sta muovendo - e questo succede ormai da mesi - su due fronti, entrambi molto delicati e molto impegnativi: uno è quello della repressione, soprattutto in alcuni momenti critici; l’altro è quello della trattativa. Ormai da oltre un mese - e se ne parlava anche già da prima - il governo sta tastando il terreno e cerca, appoggiato da autorevolissimi personaggi politici e religiosi, di avviare una trattativa.

D. – Ma, era pensabile che il gesto apparentemente generoso del presidente nigeriano potesse indurre i miliziani di Boko Haram a rinunciare alla lotta armata?

R. - Sembra una prospettiva abbastanza difficile, perché sappiamo che Boko Haram intende imporre l’islam nella sua versione più intransigente, anche opponendosi ad altre voci islamiche del Paese, e intende farlo a qualunque costo e il costo sappiamo che è quello di stragi, che ormai - soprattutto negli ultimi quattro anni - hanno colpito il nord e anche il resto del Paese con non meno di 2 mila vittime, in gran parte civili: non solo cristiane, ma anche tra le comunità islamiche che non condividono il progetto di Boko Haram. Quindi, in effetti, non è un’impresa facile quella che si propone il presidente. D’altra parte, però, è una via da tentare data la forza che ha acquisito questo movimento sia tra la popolazione, sia - a quanto pare e a quanto si dice da tempo - nell’ambito delle istituzioni: si dice che soprattutto al nord, ma non soltanto, Boko Haram abbia il sostegno forte e vigoroso di uomini politici e che sia anche riuscito ad infiltrarsi nelle forze di sicurezza, nei servizi segreti. Questo spiegherebbe, tra l’altro, il successo - spesso - delle imprese dei suoi terroristi.

D. - Quindi possiamo anche pensare che c’è una certa sottovalutazione del problema da parte della Comunità internazionale?

R. - La Comunità internazionale ormai, in questo come in altri casi, più che sottovalutare non sa bene come muoversi e di fatto non ha grandi mezzi - questo bisogna riconoscerlo - per intervenire, salvo fare quello che sta facendo: cercare di contrastare Boko Haram e altri movimenti islamisti e soprattutto di contrastare il crearsi di legami stretti tra questi movimenti a livello internazionale in tutta la fascia dell’Africa sub-sahariana, in cui questi movimenti si stanno affermando con molto successo. Pensiamo, per esempio, al Mali e alla crisi che nel nord del Mali si è determinata - e tutt’altro che risolta - negli ultimi due anni.

D. - Questa mattina c’è stata una presa di posizione molto preoccupata del presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, mons. Kaigama, che punta il dito contro la diffusione delle armi nel Paese e denuncia che ve ne sono sempre di più sofisticate che provengono dall’estero…

R. - Questo è uno dei problemi su cui la Comunità internazionale ha modo di incidere. Uno dei problemi, previsto e non scongiurato, è la diffusione delle armi - di quell’immenso e formidabile arsenale - che era stato messo insieme dal colonnello Gheddafi in Libia: la sua caduta - ormai è certo e si sa da mesi - ha avuto, tra le varie conseguenze, quella di far sì che questo arsenale cominciasse a venire esportato e messo a disposizione di movimenti - certo non è solo questa la fonte delle armi, ma una è sicuramente questa - che si sono quindi rivelati molto più difficili da contrastare di quanto non fossero in passato. Si tratta di armi e anche di tecnologie più in generale che permettono comunicazione, spostamenti e movimenti più rapidi, più efficaci e più difficili - ripeto - da contrastare. Il Mali è proprio l’esempio di che cosa succede, di che cosa sta succedendo in questa parte del mondo e dei problemi enormi che questi sviluppi stanno creando a livello transnazionale, nell’area che va dalla Nigeria fino alla Somalia.







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