Nigeria: scontri tra esercito e Boko Haram. Appello di Ban Ki-moom.
La Chiesa: stop a diffusione di armi
La Nigeria scossa nel fine settimana da nuovi violenti scontri tra esercito governativo
e miliziani del movimento islamico Boko Haram. 187 i morti e 77 i feriti rinvenuti
a Baga, in un remoto villaggio di pescatori sul lago Ciad nello Stato di Borno, nel
nord-est del Paese. Tra le vittime soldati e guerriglieri, ma soprattutto civili.
Le violenze sono scoppiate dopo che era stata circondata una moschea dove le truppe
di Abuja ritenevano fossero asserragliati i ribelli. Roberta Gisotti ha intervistato
la prof.ssa Anna Bono, docente di Storia ed Istituzioni dell’Africa, all’Università
di Torino:
“Scioccato e
addolorato”, il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon ha fatto appello alle parti
di porre fine agli attacchi. “Nessuna violenza - ha detto - può giustificare questo
ricorso alla violenza”. Una ripresa delle ostilità che arriva dopo l’offerta, il 4
aprile scorso, di un’amnistia da parte del presidente nigeriano Jonathan, che era
stata respinta dall’attuale leader di Boko Haram, Shekau, con il commento: “che abbiamo
fatto di male”? Come valutare questi ultimi accadimenti? Prof.ssa Bono:
R.
- Il governo della Nigeria si sta muovendo - e questo succede ormai da mesi - su due
fronti, entrambi molto delicati e molto impegnativi: uno è quello della repressione,
soprattutto in alcuni momenti critici; l’altro è quello della trattativa. Ormai da
oltre un mese - e se ne parlava anche già da prima - il governo sta tastando il terreno
e cerca, appoggiato da autorevolissimi personaggi politici e religiosi, di avviare
una trattativa.
D. – Ma, era pensabile che il gesto apparentemente generoso
del presidente nigeriano potesse indurre i miliziani di Boko Haram a rinunciare alla
lotta armata?
R. - Sembra una prospettiva abbastanza difficile, perché sappiamo
che Boko Haram intende imporre l’islam nella sua versione più intransigente, anche
opponendosi ad altre voci islamiche del Paese, e intende farlo a qualunque costo e
il costo sappiamo che è quello di stragi, che ormai - soprattutto negli ultimi quattro
anni - hanno colpito il nord e anche il resto del Paese con non meno di 2 mila vittime,
in gran parte civili: non solo cristiane, ma anche tra le comunità islamiche che non
condividono il progetto di Boko Haram. Quindi, in effetti, non è un’impresa facile
quella che si propone il presidente. D’altra parte, però, è una via da tentare data
la forza che ha acquisito questo movimento sia tra la popolazione, sia - a quanto
pare e a quanto si dice da tempo - nell’ambito delle istituzioni: si dice che soprattutto
al nord, ma non soltanto, Boko Haram abbia il sostegno forte e vigoroso di uomini
politici e che sia anche riuscito ad infiltrarsi nelle forze di sicurezza, nei servizi
segreti. Questo spiegherebbe, tra l’altro, il successo - spesso - delle imprese dei
suoi terroristi.
D. - Quindi possiamo anche pensare che c’è una certa sottovalutazione
del problema da parte della Comunità internazionale?
R. - La Comunità internazionale
ormai, in questo come in altri casi, più che sottovalutare non sa bene come muoversi
e di fatto non ha grandi mezzi - questo bisogna riconoscerlo - per intervenire, salvo
fare quello che sta facendo: cercare di contrastare Boko Haram e altri movimenti islamisti
e soprattutto di contrastare il crearsi di legami stretti tra questi movimenti a livello
internazionale in tutta la fascia dell’Africa sub-sahariana, in cui questi movimenti
si stanno affermando con molto successo. Pensiamo, per esempio, al Mali e alla crisi
che nel nord del Mali si è determinata - e tutt’altro che risolta - negli ultimi due
anni.
D. - Questa mattina c’è stata una presa di posizione molto preoccupata
del presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, mons. Kaigama, che punta
il dito contro la diffusione delle armi nel Paese e denuncia che ve ne sono sempre
di più sofisticate che provengono dall’estero…
R. - Questo è uno dei problemi
su cui la Comunità internazionale ha modo di incidere. Uno dei problemi, previsto
e non scongiurato, è la diffusione delle armi - di quell’immenso e formidabile arsenale
- che era stato messo insieme dal colonnello Gheddafi in Libia: la sua caduta - ormai
è certo e si sa da mesi - ha avuto, tra le varie conseguenze, quella di far sì che
questo arsenale cominciasse a venire esportato e messo a disposizione di movimenti
- certo non è solo questa la fonte delle armi, ma una è sicuramente questa - che si
sono quindi rivelati molto più difficili da contrastare di quanto non fossero in passato.
Si tratta di armi e anche di tecnologie più in generale che permettono comunicazione,
spostamenti e movimenti più rapidi, più efficaci e più difficili - ripeto - da contrastare.
Il Mali è proprio l’esempio di che cosa succede, di che cosa sta succedendo in questa
parte del mondo e dei problemi enormi che questi sviluppi stanno creando a livello
transnazionale, nell’area che va dalla Nigeria fino alla Somalia.