Da ieri a Varsavia le celebrazioni per ricordare la rivolta del ghetto ebraico. Settanta
anni fa, il 19 aprile 1943, un migliaio di ebrei della capitale polacca andarono incontro
alla morte, combattendo a difesa della propria dignità contro i nazisti che avevano
isolato con un muro i quartieri ebraici della città. La reazione tedesca in un mese
causò la morte di oltre 56 mila persone, mentre i superstiti vennero deportati. Alle
ore 10 in punto suoneranno le sirene e le campane, come predisposto dall’arcivescovo
Kazimierz Nycz. Sentiamo il giornalista polacco Marek Lehnert, intervistato
da Giancarlo La Vella:
R. - E’ quanto
mai attuale quest’anniversario così come questa riflessione sull’antisemitismo: dove
porta, se non si provvede in tempo? In un recentissimo sondaggio dell’Istituto polacco
Homo Homini, condotto in venti scuole di Varsavia, il 40 per cento dei ragazzi ha
risposto che non vorrebbe in classe un compagno ebreo e addirittura il 60 per cento
esclude la possibilità di innamorarsi e di avere un partner di origine ebraica; il
44 per cento non vorrebbe vicini di casa ebrei. Questo è tristissimo e lo dico con
grande vergogna e con grande rammarico, ma è la verità!
D. - Si ricorda, in
questi giorni, il tentativo degli ebrei polacchi di Varsavia di rivoltarsi contro
il nazismo…
R. - Marek Edelman, vice comandante dell’insurrezione del Ghetto
di Varsavia, impegnato nella lotta per la democrazia del nostro Paese, parlava della
vita normale, della vita quotidiana di quell’enclave di Varsavia, dove passava il
tram ariano, il tram con i tedeschi e con i polacchi che potevano attraversare questo
luogo di sofferenza e questo luogo di crimine. Loro sì, sono passati alla storia come
eroi, come quelli che avevano un po’ di speranza contro la speranza, perché era una
cosa destinata alla sconfitta. Marek Edelman parlava con il sorriso sulle labbra,
perché ovviamente erano gli anni migliori della gioventù, della vita quotidiana di
quella gente: l’ultimo bacio con la ragazza, che qualche ora sarebbe morta per mano
dei tedeschi… La cosa che suscitava rabbia soprattutto era il fatto - non subito noto
all’opinione pubblica - che il comandante, il boia del Ghetto di Varsavia, Jürgen
Stroop, ha passato un po’ di tempo nella stessa cella con uno degli eroi della resistenza,
Kazimierz Moczarski. Questi erano i paradossi della Polonia del post guerra, della
Polonia comunista: oggi si ricordano anche questi fatti che condannano due regimi,
il regime nazista e il regime comunista.
D. - Quasi 60 mila le vittime della
reazione nazista alla rivolta nel Ghetto: si può dire che ogni abitante di Varsavia
abbia un parente perito in quell’evento…
R. - E’ così! E’ così! Volevo ricordare
il clima di quei giorni: lo ricorda molto bene una famosa poesia del Premio Nobel
per la Letteratura,Czesław Miłosz, dal titolo “Campo di fiori”, dove dice
che vicino al Ghetto, dalla parte ariana polacca, c’era una giostra dove la gente
si divertiva e “quel vento dell’incendio alzava le gonne alle ragazze e rideva la
folla nella bella domenica di Varsavia”.