Usa: sconfitta di Obama al Senato sulla riforma delle armi
Il presidente americano, Barack Obama, ha incassato mercoledì la sconfitta al Senato
sulla riforma delle armi, frutto di un’intesa di massima tra repubblicani e democratici.
Bocciate le norme sui controlli degli acquisti delle armi e anche il divieto della
vendita di armi d'assalto e di caricatori ad alta capacità, in grado di contenere
fino a 30 proiettili. Il capo della Casa Bianca ha parlato di un “giorno vergognoso”
e si è scagliato con forza contro la lobby delle armi. Ma i fatti di Boston
quanto possono aver pesato sull'iter della riforma? Benedetta Capelli lo ha
chiesto a Mattia Diletti, docente di Relazioni internazionali all'Università
La Sapienza di Roma:
R. – Francamente,
quasi nulla. Questo è un voto che è realmente facile da leggere, perché pesa la lobby
delle armi – che è effettivamente una lobby molto potente, con tanti soldi – che contribuisce
a eleggere molti rappresentanti al Congresso. E contribuisce anche, in questa sconfitta
di Obama, un meccanismo bizantino di voto che fa sì che passino solamente emendamenti
votati a larghissima maggioranza nel Senato. Per questo, ci sono due fattori: uno
istituzionale, perché il Senato ha bisogno di maggioranze molto larghe per approvare
delle riforme, e quindi le capacità della lobby delle armi che sostiene il
diritto a possedere armi da parte degli americani e che ha speso 500 mila dollari
in un giorno per contrastare l’approvazione della legge con spot, pressioni sui congressman…
Questa è stata, secondo me, la combinazione fatale per Obama.
D. – Obama ha
parlato di “giorno vergognoso” e si è scagliato ovviamente contro la lobby
delle armi, dicendo che sovvertono il sentire comune. E’ un cambio di atteggiamento
importante…
R. – E’ iniziata la battaglia contro il presidente, perché teneva
moltissimo a questa legge. Qualche compromesso era già stato fatto in sede di presentazione
di legge, erano state smussate alcune idee più radicali nella proposta di eliminare
la vendita di alcune armi… Insomma, è cominciata una battaglia politica vera e seguirà
la battaglia politica per le elezioni a medio termine del 2014, perché i democratici
che hanno votato contro alcuni emendamenti sono in Stati in cui i conservatori sono
molto forti e hanno paura di perdere. A questo punto, il presidente credo avvierà
una battaglia politica vera contro questa lobby. Vedremo un tentativo da parte
del presidente di portare ancora più l’opinione pubblica dalla sua parte su questo
tema, contro questa parte di Washington contraria all’approvazione della legge.
D.
– Lei ha detto che il presidente Obama farà pressione sull’opinione pubblica: ma qual
è il sentire comune degli americani su questo argomento?
R. – In questo momento,
l’opinione pubblica è con il presidente: si è schierata con il presidente e i sondaggi
lo dicono. Lo era in modo nettissimo dopo la terribile strage di Newton. Da questo
punto di vista, è evidente che per riuscire a fare una pressione sul Congresso più
forte devono esserci delle capacità organizzative e politiche della società civile
che è a favore di questa legge. Non basta l’emozione, evidentemente, per far passare
una legge al Congresso americano.
D. – Quali sono gli strumenti del presidente
Obama per far sì che questa riforma giunga in porto?
R. – Utilizzare i meccanismi
di mobilitazione dal basso, che creano questa relazione tra presidente ed elettori
molto forte e che lui ha utilizzato in campagna elettorale qualche volta per sostenere
alcune delle leggi che è riuscito a far approvare ai democratici e al Congresso. Quindi,
si tratterà di fare una vera e propria campagna dell’opinione pubblica con gli strumenti
che utilizzano i democratici: la rete, pressioni locali sul candidato locale perché
sia a favore della legge, fare entrare il tema nel dibattito pubblico nazionale ma
anche in quello locale. I classici strumenti delle campagne di mobilitazione, che
Obama riesce a fare così bene in campagna elettorale, ma che si scontrano poi con
altre difficoltà quando si tratta di far approvare leggi a Washington.
D.
– Questo stop potrà avere anche un riverbero sulla prossima riforma dell’immigrazione?
R.
– A questo punto, è tutto da vedere: potrebbe anche darsi, nel senso che potrebbe
essere l’inizio anche di una battaglia senza quartiere al Congresso… Però, sulla questione
dell’immigrazione ci sono molti più repubblicani disposti al compromesso, anche perché
stanno cambiando i loro collegi elettorali e i repubblicani hanno capito che non si
può più andare avanti, di elezione presidenziale in elezione presidenziale, rinunciando
al corteggiamento del voto degli ispanici, che saranno quelli maggiormente interessati
a questa riforma. Dopodiché, in questo clima è anche facile supporre che ci saranno
più difficoltà di quelle che si immaginano.