2013-04-16 14:29:09

Padre Neuhauss: israeliani e palestinesi ascoltino l'invito di pace del Papa per la Terra Santa


La Chiesa di Gerusalemme, con le sua aspettative e le sue difficoltà, è stata lunedì al centro dell’attenzione di Papa Francesco, che ha ricevuto in udienza il Patriarcato latino della Città santa, intrattenendosi a colloquio con il patriarca Fouad Twal. Tra i presenti, vi era anche il gesuita, padre David Neuhauss, vicario patriarcale per i cattolici di espressione ebraica. Alessandro De Carolis gli ha chiesto un’impressione sull’incontro con Papa Francesco:RealAudioMP3

R. – Il Patriarca ha sottolineato il fatto che il Papa è un uomo di ascolto e ha notato anche che il Papa sa molto del Medio Oriente: è molto, molto informato della nostra situazione. Noi abbiamo sempre la speranza che il Papa, con la sua voce e la sua autorità morale, possa dare il suo contributo al dialogo tra le diverse parti.

D. – Lei, in particolare, si occupa dei cattolici di provenienza ebraica e di quelli integrati nella società, che parla la lingua ebraica...

R. – E’ una piccola minoranza quella di provenienza ebraica; tantissimi altri sono parenti di ebrei, operai stranieri, che cercano asilo in Israele. C’è anche il fenomeno, non molto conosciuto, ma che pure esiste, dei bambini arabi, palestinesi arabi, formati ed educati nelle scuole ebraiche, che conoscono quasi unicamente l’ebraico. Il nostro vicariato, quindi, che è a lavoro con queste popolazioni, ha una comunità di fedeli molto diversificata.

D. – Che tipo di esperienza umana e spirituale vivete con queste persone?

R. – La prima cosa è provare a fare la trasmissione di fede. I genitori, molto spesso, conoscono bene la fede e hanno vissuto la fede in una comunità cristiana. Il nostro lavoro principale è fare Chiesa con questi bambini, nella lingua che loro capiscono meglio: la lingua ebraica. Noi dobbiamo trovare il modo per proclamare chiaramente, con autenticità, la nostra fede in lingua ebraica. Questo vuol dire anche vivere un profondo dialogo con gli ebrei, con la tradizione ebraica. Siamo chiamati anche a vivere in unità profonda con i fedeli di lingua ebraica e di lingua araba. Quando mi sono presentato al Papa ho detto ieri: “Non sono solo gesuita fra i diocesani, ma sono anche ebreo fra gli arabi”.

D. – C’è un dato preoccupante, recentemente ribadito dal Centro islamo-cristiano, che riguarda il calo inarrestabile dei cristiani, che ormai sono ridotti nei territori palestinesi intorno all’1 per cento. Il Patriarcato come affronta questa situazione?

R. – Questa è sempre una grande preoccupazione del Patriarcato. Dobbiamo sottolineare che questo non avviene solo per la migrazione, per cui i migliori di noi lasciano il Paese e cercano un futuro migliore per i loro bambini altrove, ma c’è anche un’altra causa molto, molto importante: le nostre famiglie sono molto più piccole di quelle musulmane ed ebraiche; siamo la parte della popolazione che ha una formazione migliore e scegliamo di non fare troppi bambini. Quindi, non credo che noi ci si debba focalizzare troppo sulle statistiche. Le statistiche sono importantissime, non c’è dubbio, ma credo che dobbiamo essere molto consapevoli che la nostra vocazione è quella di essere un piccolo gruppo, una piccola Chiesa, fatta per la grande maggioranza.

D. – Di recente vi siete espressi contro la decisione di Hamas di vietare le classi miste. Qual è la posizione della vostra Chiesa in merito?

R. – Noi siamo preoccupati anche per questo. Non vogliamo questa segregazione, specialmente nelle scuole cattoliche e questo tocca la situazione a Gaza. Noi vogliamo che i nostri bambini ricevano un’educazione secondo lo spirito della Chiesa. Devo dire, però, che esiste un dialogo con le autorità di Hamas: i capi di Hamas riconoscono il valore della scuola cattolica a Gaza e anche fra i capi ci sono quelli che mandano lì i loro bambini. Noi, quindi, abbiamo sempre la speranza del dialogo e siamo sempre ottimisti. Siamo chiamati, infatti, ad essere ottimisti ed una comunità di speranza.

D. – La situazione mediorientale è stata evocata all’Urbi et Orbi di Papa Francesco la mattina di Pasqua, con un appello a ritrovare – ha detto – la concordia, che da troppo tempo manca tra israeliani e palestinesi. Qual è il suo auspicio?

R. – Che la voce del Papa sia ascoltata. Sono convinto che i due popoli siano convinti che sia arrivato il tempo. Il discorso, però, non è un discorso di pace. Noi, dunque, dobbiamo pregare che i nostri capi politici comincino un discorso di pace e di giustizia. Tutti parlano solo della vittoria, ma qui dobbiamo trovare il modo di parlare con rispetto e comprensione verso l’altro, per arrivare a quello che il Papa vuole e che noi tutti vogliamo.

Ultimo aggiornamento: 17 aprile







All the contents on this site are copyrighted ©.