2013-04-14 10:00:59

Siria. Rimpatriati i giornalisti italiani. Nel Paese infuria la guerra, infiltrazioni jihadiste


Sono rientrati ieri sera a Roma e stanno bene i 4 giornalisti italiani, un reporter Rai e 3 freelance, liberati in Turchia. Erano stati trattenuti dal 5 aprile nel nord della Siria. Si tratta dell'inviato Rai Amedeo Ricucci, il fotoreporter Elio Colavolpe, il documentarista Andrea Vignali e la giornalista freelance Susan Dabbous, di origini siriane. ''Eravamo in mano a un gruppo islamista armato che non fa parte dell'Esercito libero siriano'', ha raccontato Ricucci all’Ansa, spiegando che ''è stato un malinteso … ci trovavamo in una località originariamente cristiana e stavamo filmando una chiesa. Ma i miliziani hanno creduto che stessimo riprendendo una loro base logistica''. Susan Dabbous ha raccontato al Telegraph i suoi timori: ''Minacciavano di tagliarmi le mani perché pensavano avrei scritto un articolo su di loro. Temevo che mi avrebbero ucciso, ho avuto veramente molta paura'', e ha aggiunto che tra i sequestratori c'erano algerini e marocchini.

Intanto in Siria continua ad infuriare la guerra. Comitati locali anti-regime (Lcc) hanno riferito che nei combattimenti di ieri sono morte almeno 85 persone: tra loro anche 7 bambini. L'Osservatorio siriano per i diritti umani e gli stessi Lcc denunciano un attacco chimico a nord di Aleppo. La gran parte delle vittime si registra nella provincia di Idlib, altri 23 a Damasco e nei suoi sobborghi. La situazione nel Paese resta tesa anche per le infiltrazioni di elementi di ispirazione jihadista. Davide Maggiore ha chiesto a Federico De Renzi, analista politico esperto di Turchia, se la presenza oltre i confini siriani di un governo di ispirazione islamica moderata come quello di Ankara può bilanciare questo rischio:RealAudioMP3

R. - La Turchia può costituire per la regione e per gli Stati confinanti, in particolar modo per quanto riguarda la Siria, un esempio più politico che culturale, perché tra la Siria di oggi e la Turchia ci sono legami plurisecolari. Il fatto che Al-Qaeda possa avere delle infiltrazioni in Siria attraverso gruppi riconducibili ad essa più o meno direttamente, per la Turchia può ovviamente costituire un problema, tanto più che la Turchia può vedere in queste infiltrazioni un elemento di destabilizzazione di un eventuale processo di ricostruzione dall’esterno e - soprattutto - questo potrebbe anche costituire un elemento di destabilizzazione per la Turchia stessa.

D. - Questi rischi di destabilizzazione per la Turchia ma anche per la Siria, possono spiegare il riavvicinamento che è avvenuto recentemente tra la Turchia e Israele, o questo ha altre spiegazioni?

R. - Il riavvicinamento è dovuto anche ad una mediazione statunitense tra le due parti. Costituisce sicuramente un passo in avanti nel riallacciamento delle relazioni tra i due Paesi. La Turchia è - almeno in fieri - una potenza regionale che ha delle politiche autonome se non indipendenti da altri contesti, quale può essere quello Nato o il rapporto di partner privilegiato con l’Unione Europea; il rapporto con Israele può essere sicuramente un elemento in più. Rimangono dei punti critici, però i rapporti economici, i rapporti culturali tra i due Paesi sono sempre stati fluidi.

D. - Abbiamo citato il ruolo di potenza regionale che la Turchia sta cominciando a giocare. Quanto influsso ha avuto su questo l’arrivo al potere del Partito Giustizia e Sviluppo?

R. - Fondamentale, visto che dal 2002, da quando è salito al potere il partito di ispirazione islamica in Turchia - Giustizia e sviluppo - del primo ministro Erdogan, la dimensione islamica del partito ha sicuramente favorito un riallacciamento - sebbene indiretto - con il mondo islamico in generale. La Turchia in questi ultimi dieci anni ha avuto una crescita impressionante dal punto di vista economico in tutto lo spazio euroasiatico: dai Balcani, all’Europa orientale, fino alla Cina. Sicuramente la visione strategica preconizzata del ministro degli Esteri, Ahmed Davutoglu, ha avuto un’influenza. La Turchia ha ricominciato a considerare la sua “posizione ponte” tra la sfera africana, mediorientale, caucasica, iniziando quindi a perseguire - come accennavo prima - delle politiche autonome.

D. - C’è anche un aspetto di ritorno economico in questo tentativo di perseguire politiche autonome, vista la posizione di perno che ha Ankara nella regione…

R. - Essendo un hub naturale per il passaggio di oleodotti e gasdotti che provengono dalla regione - Iran, Azerbaijan, ma anche Russia - per Ankara lo sfruttamento dei proventi derivanti dai rapporti con questi Paesi, è la chiave di volta per esercitare potenza. La Turchia non è un Paese produttore, ma sa di essere indispensabile per lo sviluppo economico non solo interno, ma appunto regionale, come nel caso di Paesi quali l’Iraq o lo stesso Iran.









All the contents on this site are copyrighted ©.