Prima storica visita di Bashir nel Sud Sudan: segni di distensione tra Juba e Khartoum
Il Sudan e il Sud Sudan normalizzeranno i loro rapporti e inizieranno uno cooperazione
transfrontaliera. Lo ha annunciato il presidente sudanese Hassan al-Bashir a Juba,
nel corso della sua prima visita in Sud Sudan da quando è avvenuta la secessione da
Khartoum, nel 2011. Stessa posizione da parte del leader sud-sudanese Salva Kiir,
ex comandante ribelle e acerrimo nemico di al-Bashir durante la guerra civile. Da
ricordare inoltre che al-Bashir è ricercato dalla Corte Penale internazionale per
crimini contro l’umanità. Le dichiarazioni di Bashir e Kiir erano impensabili solo
un anno fa, quando ancora si combatteva lungo la frontiera comune e nelle aree rivendicate
da ambedue i governi. Sull’importanza di questa visita, Salvatore Sabatino
ha intervistato Gianni Ballarini, della rivista dei comboniani “Nigrizia”:
R. – L’importante
è che i due presidenti si vedano, s’incontrino per la prima volta, dopo le tensioni
dei mesi scorsi e, quindi, si rasserenino i rapporti. Questo anche grazie all’accordo
stipulato ad Addis Abeba nel marzo scorso, che ha messo in moto nuove energie e nuove
speranze.
D. – Proprio questi accordi, che sono stati firmati ad Addis Abeba,
hanno raggiunto risultati molto importanti, però molte delle questioni sono rimaste
irrisolte. Quali?
R. – Intanto, hanno risolto una questione importante, che
è quella riguardante il petrolio. Dal gennaio 2012, infatti, il Sud Sudan aveva bloccato
la fornitura del petrolio al Sudan e quindi sia il Sud Sudan che il Sudan soffrivano
terribilmente questa situazione, queste condizioni. Adesso il petrolio, da una decina
di giorni, è ritornato a fluire verso il Nord. Le questioni importanti restano quelle
precedenti all’indipendenza del Sud Sudan: fondamentalmente la questione Abyei, che
è il luogo con la massima produzione di petrolio e che viene contestato da parte del
Sud, perché non vuole che sia considerato del Nord, e da parte del Nord appunto che
vuole tenerlo. I confini di Abyei restano ancora totalmente irrisolti.
D. –
Il Darfur - altra questione molto rilevante – oggi come si inserisce in questo contesto
di difficile normalizzazione?
R. – Il 7 e 8 aprile c’è stato questo incontro
a Doha, in Qatar, dove i donatori internazionali hanno finanziato con 3 miliardi e
mezzo la situazione in Darfur. Il Darfur, in questo momento, sta riesplodendo; tra
l’altro sono passati 10 anni nel febbraio scorso dall’inizio del conflitto. C’è stata
recentemente da parte di Bashir una mano tesa nei confronti dei ribelli del Darfur,
con l’annuncio della liberazione dei detenuti politici, fra cui anche alcuni darfuriani,
dalle carceri di Khartoum. Questo è stato interpretato anche come un segnale di distensione.
Certo è che i conflitti che si sono registrati, soprattutto nel Nord e Darfur, nelle
ultime settimane, alimentano tensioni e fanno capire che la situazione non è ancora
assolutamente risolta e che appunto Khartoum ha un altro nodo con la parte occidentale
del suo Paese.
D. – Tutta questa instabilità causa ovviamente grandissime difficoltà
alla popolazione, che vive in un contesto davvero drammatico. Oggi come si può definire
la situazione in Sudan e Sud Sudan?
R. – Nel Sud Sudan la situazione è molto
grave, nel senso che, a causa anche del mancato introito dei proventi petroliferi,
che è la prima fonte di reddito, a parte gli aiuti internazionali, del Sud Sudan,
la popolazione ha sofferto terribilmente. Il governo non aveva risorse per coprire
i bisogni elementari. Per quanto riguarda il Nord, anche lui ha sofferto la mancanza
dell’arrivo del petrolio, perché con l’operazione dal Sud i tre quarti dei proventi
petroliferi sono andati appunto al Sud e non sono rimasti al Nord. C’è, inoltre, una
situazione di "primavera sudanese" incipiente, nel senso che ci sono le prime manifestazioni
di studenti che si lamentano per le condizioni, per la situazione che vivono, di mancanza
di libertà e di economia assolutamente fragile. Certo, il regime mette a tacere tutto
questo e quindi è anche difficile capire la reale situazione.
D. – La visita
di Bashir è considerata a questo punto una tappa cruciale in questo lento, ma progressivo
percorso verso l’uscita dalla crisi. Che cosa possiamo immaginare per il prossimo
futuro?
R. – Innanzitutto speriamo che si allentino le tensioni al confine
fra il Nord e il Sud. Ci sono due Stati del Nord – il Sud Kordofan e il Nilo Azzurro
– che sono attraversati dalla guerriglia e da conflitti alimentati anche dal Sud con
i movimenti ribelli all’interno, che si ritengono, in qualche modo, oppressi e defraudati
di un pensiero che loro avevano, cioè quello di restare uniti al Sud. Quindi, le tensioni
che si sono scaricate lungo i confini tra Nord e Sud sono il problema principale,
sono la priorità. L’accordo di Addis Abeba con la smilitarizzazione dei confini va
anche in questa direzione, quella del rasserenare i rapporti anche dal punto di vista
militare. Certo è impensabile che si possano sanare tutte le tensioni o ricucire tutte
le fratture che ci sono in questo momento fra i due Paesi. E’, però, un segnale importantissimo.