Il Festival del Cinema Europeo apre una "finestra" sulla realtà israeliana
Si sta svolgendo a Lecce, fino a domenica prossima, la 14.ma edizione del Festival
del Cinema Europeo: registi provenienti da molti paesi del continente offrono visioni
che aiutano il pubblico a scoprire la terra in cui vivono, i valori che la animano,
le difficoltà che la segnano. Una sezione è dedicata anche al “Cinema della realtà”,
con una scelta di documentari sul tema dell’immigrazione, affiancata da “Cinema e
Mediterraneo”, quest’anno dedicata a Israele. Il servizio di Luca Pellegrini:
L’Europa, assieme
all’Africa e al Medio Oriente, stringe le acque del Mediterraneo. La penisola italiana
e, a maggior ragione, quella salentina in Puglia, hanno sempre guardato alle altre
sponde, per ragioni diverse: commercio, cultura, religione. Per questa ragione, in
un Festival dedicato al cinema del continente europeo come quello di Lecce – che ha
messo in campo una splendida retrospettiva dedicata al regista finlandese Aki Kaurismäki
e un concorso con opere provenienti da dieci Paesi europei – è stata aperta una finestra
interessante sul cinema israeliano contemporaneo, che presenta lungometraggi e documentari:
un segnale della vivacità, anche critica, che anima la comunità dei registi di Israele.
Attraverso il loro lavoro la società israeliana si fa conoscere anche nella sua complessità
e nelle tensioni che ancora in modo tragico feriscono quella terra. Abbiamo chiesto
a Ofra Fahri, addetta culturale dell’ambasciata d’Israele presso l’Italia,
che ha curato la scelta dei film in programma, quale immagine del suo Paese viene
a conoscere il pubblico.
R. - Sono state scelte delle pellicole rappresentative
degli ultimi dieci anni, perché questi film non sono mai stati proiettati qui, capaci
di rivisitare il rapporto della società israeliana nei confronti di argomenti importanti,
come la religione, i conflitti politici, argomenti sociali, il mondo omosessuale e
la capacità di integrazione, perché in Israele abbiamo tanti migranti di diverse popolazioni.
D.
- Secondo lei, il cinema israeliano riesce ad affrontare con serenità e lucidità la
crisi politica e sociale che il Medio Oriente sta attraversando?
R. - L’Israele
non fa parte veramente della "primavera araba", noi abbiamo sempre i nostri conflitti.
Se si dà uno sguardo alla filmografia israeliana in modo molto chiaro, ci si rende
conto di una grande sensibilità: vengono affrontati diversi argomenti in questo momento
di difficoltà nel Medio Oriente, sia nei documentari - certamente si tratta di un
lavoro un po’ diverso – ma anche nei film. Gli artisti israeliani riescono ad entrare
nelle situazioni più complesse, con un occhio diverso – molto critico anche verso
il governo, devo dire la verità – accurato e sensibile. Sicuramente, siamo tutti noi,
come anche il pubblico, a ricevere un grande regale e un bel vantaggio da tutto questo.