Gli insorti siriani chiedono aiuti militari nel corso del vertice G8 di Londra
Resta altissimo il livello dello scontro sul terreno in Siria, dove si contano 75
vittime nelle ultime 24 ore. Sul piano diplomatico si registra l’incontro di ieri
a Londra tra i rappresentati del G8 e il premier indicato dall’opposizione Ghassan
Hitto, che ha chiesto armi per combattere esercito di Assad. Ma sulla crisi siriana
si allunga l’ombra di al Qaeda, a cui sarebbero affiliati alcuni gruppi di ribelli.
Sentiamo Marco Guerra:
I combattimenti
più violenti sono avvenuti nel sud, nella provincia di Deraa, dove le truppe di terra
governative, sostenute da raid aerei hanno condotto una dura offensiva contro i ribelli,
a seguito della quale almeno 42 persone rimaste uccise, fra cui diversi civili e militari
di entrambe gli schieramenti. Decine di vittime anche nella capitale. Secondo testimoni,
qui la linea degli scontri è in una piazza a pochi passi dal centro. Dal canto suo,
il fronte dell’opposizione cerca di compattare il sostegno internazionale con il suo
primo ministro appena indicato, Ghassan Hitto, che ieri si è recato al G8 di Londra
per chiedere un sostegno più ampio che preveda anche aiuti militari oltre a quelli
umanitari. Su questo punto il segretario di Stato Usa Kerry prende tempo rinviando
il discorso alla riunione dei Paesi amici della Siria del 20 aprile a Istanbul. Intanto
all’occidente crea non pochi imbarazzi l’ammissine di fedeltà ad al-Qaeda da parte
del gruppo ribelle siriano al-Nusra. Un annuncio che conferma gli allarmi per una
deriva confessionale della crisi siriana.
La situazione in Siria resta tesa
anche per le infiltrazioni di elementi di ispirazione jihadista, confermate da un
comunicato dell’ala irachena di Al-Qaeda apparso negli scorsi giorni sul web. Davide
Maggiore ha chiesto a Federico De Renzi, analista politico esperto di Turchia,
se la presenza oltre i confini siriani di un governo di ispirazione islamica moderata
come quello di Ankara può bilanciare questo rischio:
R. - La Turchia
può costituire per la regione e per gli Stati confinanti, in particolar modo per quanto
riguarda la Siria, un esempio più politico che culturale, perché tra la Siria di oggi
e la Turchia ci sono legami plurisecolari. Il fatto che Al-Qaeda possa avere delle
infiltrazioni in Siria attraverso gruppi riconducibili ad essa più o meno direttamente,
per la Turchia può ovviamente costituire un problema, tanto più che la Turchia può
vedere in queste infiltrazioni un elemento di destabilizzazione di un eventuale processo
di ricostruzione dall’esterno e - soprattutto - questo potrebbe anche costituire un
elemento di destabilizzazione per la Turchia stessa.
D. - Questi rischi di
destabilizzazione per la Turchia ma anche per la Siria, possono spiegare il riavvicinamento
che è avvenuto recentemente tra la Turchia e Israele, o questo ha altre spiegazioni?
R.
- Il riavvicinamento è dovuto anche ad una mediazione statunitense tra le due parti.
Costituisce sicuramente un passo in avanti nel riallacciamento delle relazioni tra
i due Paesi. La Turchia è - almeno in fieri - una potenza regionale che ha delle politiche
autonome se non indipendenti da altri contesti, quale può essere quello Nato o il
rapporto di partner privilegiato con l’Unione Europea; il rapporto con Israele può
essere sicuramente un elemento in più. Rimangono dei punti critici, però i rapporti
economici, i rapporti culturali tra i due Paesi sono sempre stati fluidi.
D.
- Abbiamo citato il ruolo di potenza regionale che la Turchia sta cominciando a giocare.
Quanto influsso ha avuto su questo l’arrivo al potere del partito Giustizia e Sviluppo?
R.
- Fondamentale, visto che dal 2002, da quando è salito al potere il partito di ispirazione
islamica in Turchia - Giustizia e sviluppo - del primo ministro Erdogan, la dimensione
islamica del partito ha sicuramente favorito un riallacciamento - sebbene indiretto
- con il mondo islamico in generale. La Turchia in questi ultimi dieci anni ha avuto
una crescita impressionante dal punto di vista economico in tutto lo spazio euroasiatico:
dai Balcani, all’Europa orientale, fino alla Cina. Sicuramente la visione strategica
preconizzata del ministro degli esteri, Ahmed Davutoglu, ha avuto un’influenza. La
Turchia ha ricominciato a considerare la sua “posizione ponte” tra la sfera africana,
mediorientale, caucasica, iniziando quindi a perseguire - come accennavo prima - delle
politiche autonome.
D. - C’è anche un aspetto di ritorno economico in questo
tentativo di perseguire politiche autonome, vista la posizione di perno che ha Ankara
nella regione…
R. - Essendo un hub naturale per il passaggio di oleodotti e
gasdotti che provengono dalla regione - Iran, Azerbaijan, ma anche Russia - per Ankara
lo sfruttamento dei proventi derivanti dai rapporti con questi Paesi, è la chiave
di volta per esercitare potenza. La Turchia non è un Paese produttore, ma sa di essere
indispensabile per lo sviluppo economico non solo interno, ma appunto regionale, come
nel caso di Paesi quali l’Iraq o lo stesso Iran.