50.mo “Pacem in Terris”. Lo storico Giovagnoli: documento di grande forza e attualità
Ricorre domani il 50.mo dell’Enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII. Un
documento profetico, di grande forza, nel quale il Beato Roncalli, all’indomani della
crisi di Cuba, esortava tutti gli uomini di buona volontà, e non solo i cristiani,
a impegnarsi per la pace nel mondo. Sull’attualità di questo documento, la riflessione
dello storico della Cattolica di Milano, Agostino Giovagnoli, intervistato
da Alessandro Gisotti:
R. - La forza
della Pacem in Terris è anzitutto quella di portare a compimento un Magistero,
quello dei Papi, che nel corso del ‘900, a partire da Benedetto XV in modo particolare,
ha sempre più insistito sul tema della pace e quindi sul ruolo della Chiesa cattolica
per il sostegno della pace nella famiglia umana. Inoltre, la Pacem in Terris
ha portato questo tema ad una sua formulazione piena, nel senso di considerare la
guerra come qualcosa di non più accettabile e sopportabile.
D. – Un documento
che nasce dopo la crisi di Cuba, forse il momento in cui il mondo più si è avvicinato
ad una Terza guerra mondiale, ad una guerra nucleare. Sicuramente anche questo era
molto presente nel pensiero, nel cuore di Papa Giovanni XXIII...
R. – Sì, certamente.
La genesi di questo documento è proprio nella crisi di Cuba dell’ottobre ’62 e direi
anche nel ruolo che, in quell’occasione, Giovanni XXIII aveva potuto svolgere in modo
singolare fra le due grandi parti in gioco: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
Giovanni XXIII in questo modo ha voluto trasformare un’iniziativa specifica in qualcosa
di più, cioè in un monito che la Santa Sede era in grado di dare, svolgendo un magistero
morale, universale rivolto a tutti i popoli.
D. – Il respiro universale di
questo documento è presente fin dal frontespizio, perché la Pacem in Terris non
si rivolge solo ai cattolici, ai cristiani, bensì a tutti gli uomini di buona volontà...
R.
– Questo è molto significativo. Da allora in poi, altri documenti hanno ripreso questo
appello agli uomini di buona volontà, quindi credenti e non credenti. Direi che qui
si sente anche l’evoluzione di quel "magistero giovanneo" tanto attento a distinguere
tra le ideologie, i movimenti storici e anche tra l’errore e l’errante.
D.
– In molti vedono un richiamo di Papa Francesco al Beato Giovanni XXIII, sicuramente
in questa dimensione della pace...
R. – Il richiamo è evidente, il richiamo
è forte - il tema della pace è presente già nei primi discorsi del nuovo Papa - e
si salda per esempio a quell’invito a prendersi cura dell’altro con tenerezza. Direi
che questo Papa che viene dal Sud del mondo, e che esprime quel processo di globalizzazione
in cui siamo immersi, costituisca in qualche modo la continuazione di un’intuizione
giovannea, che convocando il Concilio Vaticano II ha legato le sorti della Chiesa
cattolica a quelle del mondo intero e quindi ha anche strettamente rivendicato l’impegno
cristiano della Chiesa cattolica in particolare per la pace, non come qualcosa di
accessorio, ma come qualcosa di fondamentale.