2013-04-10 17:59:32

50.mo della "Pacem in Terris", prima Enciclica rivolta anche ai non cristiani. Intervento del card. Turkson


Ricorre oggi il 50.mo dell’Enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII. Un documento profetico, di grande forza, nel quale il Beato Roncalli, all’indomani della crisi di Cuba, esortava tutti gli uomini di buona volontà, e non solo i cristiani, a impegnarsi per la pace nel mondo. in occasione di questo anniversario, il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha tenuto una relazione al convegno “Peacebuilding 2013: 50 anni della Pacem in Terris” in corso presso la Catholic University of America di Washington, negli Stati Uniti. Il servizio di Stefano Leszczynski:

Intervenendo al Convegno dedicato al 50 anniversario della Pacem in Terris, il cardinale Peter Turkson ha sottolineato il provvidenziale legame tra il messaggio intrinseco di questa Enciclica e l’apprensione di Papa Francesco nei confronti della dilagante povertà. “Le questioni della guerra e della pace – ha ribadito il porporato - vanno lette nel contesto della solidarietà per i poveri e nel piano della creazione”. L’impegno della Santa Sede nel contrasto della corsa agli armamenti e nel favorire la costruzione della pace, ha sottolineato – si è dispiegato incessantemente in tutti i contesti internazionali e nel corso di tutte le crisi dell’era contemporanea. In particolare, il cardinale Turkson ha tracciato una tragica analogia tra la crisi nucleare degli Anni 60, che ha raggiunto il proprio apice con la crisi dei missili a Cuba, e l’emergenza nucleare che il mondo affronta nuovamente oggi. Adesso come allora valgono per il cardinale Turkson le parole pronunciate da Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II con il discorso “Gaudet Mater Ecclesia”: le ragioni dei conflitti risiedono nel rifiuto di Cristo, nei pericoli rappresentati da un’eccessiva fiducia nel progresso tecnologico e in una filosofia del benessere basata esclusivamente sul consumismo. Per contrastare la povertà, ha rammentato il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace che guidò nel 2010 la delegazione della Santa Sede presso le Nazioni Unite per discutere degli Obiettivi del Millennio e della possibilità di sradicare la povertà entro il 2015, è necessario ricorrere all’istruzione per trasformare i poveri da bisognosi in risorsa. Una buona guida per comprendere a fondo il senso e l’attualità della Pacem in Terris è il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, che il porporato invita a studiare in maniera più approfondita. Sono infatti le persone di buona volontà, gli uomini e le donne, primi destinatari dell’Enciclica di Giovanni XXIII a doversi fare promotori, prima ancora che beneficiari, della pace. E’ attraverso l’osservanza dei diritti e dei corrispondenti doveri, che spettano alle persone fin dalla creazione e per natura, che l’obiettivo della pace può essere perseguito: primo tra tutti il diritto alla vita e il corrispondente dovere di difenderla. “Fa’ di me uno strumento della pace”: il porporato è ricorso all’esempio non casuale della preghiera di San Francesco d’Assisi per illustrare come l’intero corpo ecclesiale aneli a divenire un canale per la costruzione della pace nel mondo. Lo stesso Papa Francesco – ha rammentato il cardinale Turkson – ha illustrato le tre caratteristiche del ‘Poverello di Assisi’ – l’amore per i poveri, la lotta per la pace per la quale la verità è elemento fondamentale, e la custodia del creato – quali pilastri per la costruzione della pace nel mondo attuale. Anche il dialogo interreligioso e con i non credenti è fondamentale - ha spiegato – per la costruzione di solidi legami di amicizia tra i popoli. La resurrezione del Cristo, ha concluso il cardinale Turkson, la misericordia e l’amore di Gesù hanno il potere di trasformare le vite degli uomini e di far fiorire la pace.

Sull’attualità della Pacem in Terris, la riflessione dello storico della Cattolica di Milano, Agostino Giovagnoli, intervistato da Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

R. - La forza della Pacem in Terris è anzitutto quella di portare a compimento un Magistero, quello dei Papi, che nel corso del ‘900, a partire da Benedetto XV in modo particolare, ha sempre più insistito sul tema della pace e quindi sul ruolo della Chiesa cattolica per il sostegno della pace nella famiglia umana. Inoltre, la Pacem in Terris ha portato questo tema ad una sua formulazione piena, nel senso di considerare la guerra come qualcosa di non più accettabile e sopportabile.

D. – Un documento che nasce dopo la crisi di Cuba, forse il momento in cui il mondo più si è avvicinato ad una Terza guerra mondiale, ad una guerra nucleare. Sicuramente anche questo era molto presente nel pensiero, nel cuore di Papa Giovanni XXIII...

R. – Sì, certamente. La genesi di questo documento è proprio nella crisi di Cuba dell’ottobre ’62 e direi anche nel ruolo che, in quell’occasione, Giovanni XXIII aveva potuto svolgere in modo singolare fra le due grandi parti in gioco: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Giovanni XXIII in questo modo ha voluto trasformare un’iniziativa specifica in qualcosa di più, cioè in un monito che la Santa Sede era in grado di dare, svolgendo un magistero morale, universale rivolto a tutti i popoli.

D. – Il respiro universale di questo documento è presente fin dal frontespizio, perché la Pacem in Terris non si rivolge solo ai cattolici, ai cristiani, bensì a tutti gli uomini di buona volontà...

R. – Questo è molto significativo. Da allora in poi, altri documenti hanno ripreso questo appello agli uomini di buona volontà, quindi credenti e non credenti. Direi che qui si sente anche l’evoluzione di quel "magistero giovanneo" tanto attento a distinguere tra le ideologie, i movimenti storici e anche tra l’errore e l’errante.

D. – In molti vedono un richiamo di Papa Francesco al Beato Giovanni XXIII, sicuramente in questa dimensione della pace...

R. – Il richiamo è evidente, il richiamo è forte - il tema della pace è presente già nei primi discorsi del nuovo Papa - e si salda per esempio a quell’invito a prendersi cura dell’altro con tenerezza. Direi che questo Papa che viene dal Sud del mondo, e che esprime quel processo di globalizzazione in cui siamo immersi, costituisca in qualche modo la continuazione di un’intuizione giovannea, che convocando il Concilio Vaticano II ha legato le sorti della Chiesa cattolica a quelle del mondo intero e quindi ha anche strettamente rivendicato l’impegno cristiano della Chiesa cattolica in particolare per la pace, non come qualcosa di accessorio, ma come qualcosa di fondamentale.

Ultimo aggiornamento: 11 aprile







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