Conclusa la visita di John Kerry in Medio Oriente: puntare sul dialogo e l'economia
Progressi nei colloqui israelo-palestinesi ma anche misure economiche per rimuovere
alcune restrizioni e barriere in Cisgiordania, frutto di un’intesa tra Israele e l’Anp.
Si è concluso così il tour mediorientale del segretario di Stato americano, John Kerry.
E’ la terza volta in due mesi che il capo della diplomazia di Washington è nell’area,
cercando di riprendere i negoziati che, di fatto, sono rimasti congelati per lungo
tempo anche per la poca attenzione da parte degli Stati Uniti. Salvatore Sabatino
ne ha parlato con Massimiliano Trentin, docente di Storia mediorientale presso
l’Università di Bologna:
R. - Riuscire
a comprendere bene di cosa si tratti, non è molto facile, anche perché finora non
sono stati delineati elementi sostanziali o particolarmente innovativi. Da quello
che si sa o si può presumere, sarà un nuovo inizio dei negoziati sempre e comunque
basati sulla soluzione di due Stati e per due popoli. Probabilmente, si inizierà a
parlare di alcuni temi specifici - comunque di grande importanza - come i temi della
sicurezza e dei confini.
D. - Queste due condizioni sulle quali difficilmente
si potrà trovare un accordo a cosa porteranno?
R. - Anche qui, purtroppo, è
difficile fare delle previsioni minimamente fondate, anche perché il contesto generale
e le stesse valutazioni della maggior parte dei giornalisti, indicano che questo tentativo
- il dossier israelo-palestinese - è considerato centrale, ma al momento non è considerato
prioritario anche da parte dell’amministrazione statunitense. Ci provano, perché sanno
che non provarci potrebbe aver conseguenze molto importanti in Medio Oriente e soprattutto
in un mondo arabo che sta profondamente cambiando. Però, queste strategie di “piccoli
passi”, non presentano una visione strategica che è quella che onestamente tutti chiedono
o quanto meno auspicano da un negoziatore.
D. - Anche perché questa ripresa
dei negoziati, di fatto, è rimasta congelata per lungo tempo anche per la poca attenzione
da parte degli Stati Uniti nei confronti del Medio Oriente…
R. - Nella prima
amministrazione Obama, era chiara la volontà di uscire il prima possibile dal Medio
Oriente come area strategica, e spostarsi invece verso l’Asia orientale come principale
area di intervento. Oggi invece rientrano con un maggiore peso, un maggiore intervento
e una maggiore visibilità - quanto meno - nell’area mediorientale a fronte appunto
delle trasformazioni che sono in corso, senza una capacità di intervento che nel frattempo
sia migliorata o aumentata. Infatti, gli Stati Uniti si trovano in una situazione
abbastanza difficile dove non hanno più quegli interlocutori strategici, come poteva
essere l’Egitto di Mubarak su cui potevano contare in passato. In generale, sia tra
alleati sia tra i rivali o antagonisti, vi è una maggiore ricerca di autonomia o assertività
nella gestione delle dinamiche mediorientali che riguarda anche il loro fedelissimo
alleato, cioè Israele, che ha dimostrato più volte in passato di non piegarsi ai desiderata
elettorali o meno statunitensi su determinati temi. E questo mi sembra ancora uno
dei casi.