Pakistan: la difesa delle minoranze religiose dopo la sentenza di assoluzione per
blasfemia
Sembrano essere la prudenza e la discrezione la formula migliore per festeggiare la
sentenza pronunciata dall’Alta Corte di Lahore che, nei giorni scorsi, ha assolto
dopo 8 anni il cristiano Younis Masih, condannato a morte per un reato non commesso
di blasfemia. Cantare vittoria potrebbe risultare fatale, infatti, per sua moglie
Meena Bibi ed i suoi quattro figli che oggi, dopo otto anni di sofferenze, potrebbero
ritrovarsi nel mirino di gruppi radicali che compiono esecuzioni sommarie nei confronti
di chi è accusato di blasfemia. L’agenzia Fides ricorda che sono oltre 50 le persone,
solo accusate di blasfemia, che negli ultimi anni sono state uccise per strada, in
carcere, o negli edifici della giustizia. Fra i casi più eclatanti, nel 1993, il
cristiano Manzoor Masih, ucciso da militanti islamici durante il processo, mentre
era scortato dalla polizia. Nel 2010 estremisti islamici hanno ucciso i fratelli Rahid
e Sajjid Emmanuel, arrestati per presunta blasfemia, di fronte a centinaia di persone,
davanti al tribunale di Faisalabad e molti altri cristiani, accusati e poi rilasciati,
sono stati costretti a lasciare il Paese. Si teme anche per la vita di Asia Bibi,
donna cristiana condannata a morte per blasfemia, in carcere da quasi 1.400 giorni,
e per Martha Bibi, rilasciata su cauzione, che da sette anni sta affrontando il processo
a Lahore. L’urgenza di proteggere le minoranze dai gruppi estremisti è stata ribadita
ieri in un convegno svoltosi a Karachi, in cui esponenti della società civile hanno
ricordato che “le minoranze religiose vengono costantemente discriminate dalla popolazione
e dal governo”. La conferenza, dal titolo “Integrazione delle minoranze religiose
in Pakistan” è stata organizzata dal “Forum per i diritti umani del Pakistan” in collaborazione
con il “Centro per la pace e lo sviluppo”. (G.F.)