Giornata internazionale di Rom e Sinti: l'impegno della Chiesa e di Amnesty International
La Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti che si è celebrata ieri, “ritorna ogni
anno a provocare sulla storia e sulla vita di un popolo europeo che conosce ancora
molte discriminazioni e umiliazioni, mentre non viene riconosciuto il tesoro che custodisce”.
A ricordarlo è la Fondazione Migrantes della Cei che in un comunicato sottolinea,
tra l’altro, che in Italia, “in questi ultimi dieci anni è cresciuta l'ostilità e
il rifiuto di questo popolo”. Un atteggiamento difficile da vincere anche tra i cristiani,
nonostante ripetute prese di posizione a favore di Rom e Sinti da parte del Magistero
come conferma, al microfono di Adriana Masotti, don Paolo Lojudice,
direttore spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore:
R. – Non credo
che la Chiesa si sia mai dimenticata di queste popolazioni. Non c’è dubbio che c’è
un’ostilità diffusa, che in qualche modo è anche giustificata da una certa comunicazione…
Per fare un esempio cito “Il Messaggero” di ieri: un paginone, nella cronaca di Roma,
con un titolo a tutta pagina: “Fa l’elemosina, rom le rompe il femore”. E’ chiaro
che tutto questo non fa altro che alimentare un disagio. Poi, dietro all’ostilità
ci sono ancora forme di razzismo. A me è capitato di sentire, purtroppo, persone anche
delle istituzioni fare ancora ragionamenti del tipo: “Ma loro ce l’hanno nel sangue,
ma loro sono fatti così …”. Io non nego la difficoltà, la problematicità e la delinquenzialità
anche dentro questa popolazione. Ma io mi sono accorto che quello che fa la differenza
non è tanto l’origine e il sangue, ma la condizione in cui la tua storia personale
ti chiama a vivere. E allora certamente questi agglomerati sub-umani che chiamiamo
“campi Rom” diventano un brodo di coltura per delinquenza e quant’altro. D’altra parte,
però, certamente bisogna affrontare alla radice i problemi, scommettendo, investendo
anche su alcune situazioni – nuclei, famiglie – che invece hanno ancora tanto di sano
e di positivo per loro e quindi per la società.
D. – Don Paolo, lei a Roma
sta vivendo, non da solo, un’esperienza di vicinanza con le famiglie Rom e Sinti:
ci vuole raccontare qualcosa di questo?
R. – Questa mia esperienza di maggiore
prossimità nasce esattamente nel 2007, quando vengo invitato in un campo Rom a partecipare
ad un momento di festa. Da lì è incominciata una serie di rapporti, di contatti …
Io ho cercato, poi, di farli diventare anche un’occasione formativa per i ragazzi
del nostro seminario. E da allora ci rechiamo settimanalmente in alcune realtà – campi
o centri di accoglienza – con alcuni seminaristi per varie cose. Abbiamo realizzato
con loro momenti di incontro, di gioco, di festa, di sostegno scolastico; in particolare,
due esperienze molto significative sono state due missioni popolari. L’idea di fondo
è quella di aiutarli a uscire un po' da queste realtà dei cosiddetti campi, quindi
portandoli fuori: abbiamo fatto qui partite di calcio con loro nel nostro campetto,
alcuni gruppi di bambini, di ragazzini partecipano qualche volta ai nostri momenti
di preghiera... Questo è quello che facciamo molto semplicemente. Non abbiamo la pretesa
di risolvere chissà quali problemi …
D. – Lei pensa che tra questi seminaristi
che l’accompagnano potrebbe nascere una vocazione a vivere stabilmente in un campo,
oppure che nel tempo anche le parrocchie che hanno nel loro territorio presenze di
Rom e Sinti possano maturare impegni particolari a loro favore?
R. – Io non
credo che sarebbe opportuno andare a vivere nei campi, anche perché dai campi bisogna
uscire, non andarci dentro. Bisogna fare in modo che i campi non esistano neanche
per loro, per cui non vedrei molto valida l’opzione di andare a vivere lì … anche
se questa è stata una scelta fatta da alcuni preti, soprattutto negli anni passati.
Altro discorso è quello legato alla territorialità e alle parrocchie: noi con l’Ufficio
“Migrantes” della diocesi di Roma, stiamo svolgendo un lavoro di sensibilizzazione
di tutto il territorio diocesano, coinvolgendo e incontrando le parrocchie che hanno
al loro interno questi agglomerati. Nello stesso tempo, però, certamente, le parrocchie
devono farsi un po’ presenti e anche, in qualche misura, carico di queste persone,
ma facendosi prossimi, andando noi da loro e stabilendo un rapporto di maggiore fiducia.
Non è un processo facile, per cui questo – secondo me – è e sarà la prospettiva verso
la quale bisognerebbe andare. Una grande attenzione diretta, personale la sta dimostrando
il nostro cardinale vicario, Agostino Vallini e credo, ho la sensazione, che anche
l’attuale Papa non sarà da meno nel vivere un’attenzione particolare anche nei confronti
di questa popolazione.
Da parte sua, in occasione di questa Giornata, Amnesty
International denuncia il fatto che l'Unione europea non sta facendo abbastanza per
porre fine alla discriminazione dei Rom, circa 6 milioni, presenti nei suoi Stati
membri. Gli sgomberi forzati, ad esempio, continuano a costituire la regola in molti
Paesi europei, tra cui Francia, Italia e Romania. L'istruzione è segregata in Grecia,
Repubblica Ceca e Slovacchia, in contrasto con le leggi nazionali ed europee che proibiscono
la discriminazione razziale. Sulla situazione dei Rom, Adriana Masotti ha sentito
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:
R. – E’ una
situazione molto drammatica, in cui esclusione, segregazione, istruzione separata,
mancato accesso a diritti economici e sociali fondamentali, primo tra tutti quello
all’alloggio, rendono i Rom in Europa cittadini non di serie B, ma di serie Z addirittura.
Eppure, l’Unione Europea avrebbe gli strumenti, penso alla direttiva sull’uguaglianza
razziale o alla stessa Carta dei valori fondamentali, con cui pretendere dagli Stati
membri politiche non discriminatorie ma politiche di integrazione, politiche di rispetto
dei diritti umani. Così non è, e nell’occasione della Giornata internazionale dei
Rom e dei Sinti abbiamo lanciato un appello sul sito Amnesty.it diretto alla Commissaria
Viviane Reding, chiedendole di fare veramente quello che l’Unione Europea può e deve
fare per fermare la discriminazione contro i Rom.
D. – Perché l’Unione Europea
non fa abbastanza? E’ un problema di soldi, di volontà politica …
R. – Non
credo sia un problema di soldi, perché a livello di Stati membri se ne sprecano tanti
in politiche che si basano sulla negazione dei diritti umani attraverso sgomberi,
sgomberi e sgomberi... Il Comune di Roma è un esempio, purtroppo, calzante in questo,
anche se non è l’unico. C’è una insufficiente volontà, nonostante le parole e nonostante
gli anni dedicati all’integrazione a livello europeo, e nonostante gli strumenti a
disposizione, evidentemente la volontà politica a rimediare a cause gravi e agli effetti
ancora più gravi della discriminazione, determina sia ciò che accade nei singoli Stati
membri sia a livello di Unione Europea. E’ impressionante pensare quante volte la
Commissione Europea abbia avviato procedure di infrazione nei confronti di Stati membri
per questioni riguardanti la concorrenza, i trasporti aerei, le tariffe … Ma non c’è
stata una sola occasione in cui l’abbia fatto per un episodio qualsiasi di discriminazione
nei confronti dei Rom – ad esempio, il fatto che in quanto Rom vengano messi in scuole
per alunni e alunne con disabilità mentali, o che si creino scuole in alcuni Paesi
dell’Est Europa soltanto per i Rom – eppure questi sarebbero fatti gravi su cui la
Commissione dovrebbe intervenire e non interviene. Una possibile ragione è che provvedimenti
in favore dei Rom rischierebbero di risultare impopolari, giacché lo stigma che c’è
in Europa – dimostrato anche dal recente sondaggio dell’Eurobarometro – è molto elevato.
D.
– Alloggio, lavoro, istruzione: mi sembra che questi siano i nodi su cui ruota il
possibile sviluppo di Rom e Sinti; ma sono anche questi, poi, i problemi che tuttora
rimangono insoluti …
R. – E’ così. Purtroppo, fino a quando lo stereotipo e
lo stigma e il pregiudizio faranno sì che i Rom siano considerati persone nomadi,
che non hanno interesse a diventare stanziali, ad integrarsi, ad avere vicinanza con
luoghi di lavoro, con la salute, con l’acqua potabile, con la scuola; fino a quando
questo non cesserà, l’Europa – e l’Italia in particolare – continuerà ad essere la
zona dei campi: fino a quando “il campo” resterà l’unica soluzione abitativa offerta
ai nomadi, paradossalmente quasi per venire incontro al loro essere nomadici, per
loro non ci sarà accesso ai diritti economici e sociali fondamentali. Saranno mondi
a parte. E nel “mondo a parte” dei campi prosperano anche quelle forme di marginalità,
di devianza e quindi l’idea dei campi è un’idea contro la sicurezza di tutti, in primo
luogo dei Rom, in primo luogo dei bambini e delle bambine Rom che vorrebbero andare
a scuola e che, sgombero dopo sgombero, perdono anni scolastici. Questo mi pare evidente.