2013-04-08 16:14:08

Giornata internazionale di Rom e Sinti: l'impegno della Chiesa e di Amnesty International


La Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti che si è celebrata ieri, “ritorna ogni anno a provocare sulla storia e sulla vita di un popolo europeo che conosce ancora molte discriminazioni e umiliazioni, mentre non viene riconosciuto il tesoro che custodisce”. A ricordarlo è la Fondazione Migrantes della Cei che in un comunicato sottolinea, tra l’altro, che in Italia, “in questi ultimi dieci anni è cresciuta l'ostilità e il rifiuto di questo popolo”. Un atteggiamento difficile da vincere anche tra i cristiani, nonostante ripetute prese di posizione a favore di Rom e Sinti da parte del Magistero come conferma, al microfono di Adriana Masotti, don Paolo Lojudice, direttore spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore: RealAudioMP3

R. – Non credo che la Chiesa si sia mai dimenticata di queste popolazioni. Non c’è dubbio che c’è un’ostilità diffusa, che in qualche modo è anche giustificata da una certa comunicazione… Per fare un esempio cito “Il Messaggero” di ieri: un paginone, nella cronaca di Roma, con un titolo a tutta pagina: “Fa l’elemosina, rom le rompe il femore”. E’ chiaro che tutto questo non fa altro che alimentare un disagio. Poi, dietro all’ostilità ci sono ancora forme di razzismo. A me è capitato di sentire, purtroppo, persone anche delle istituzioni fare ancora ragionamenti del tipo: “Ma loro ce l’hanno nel sangue, ma loro sono fatti così …”. Io non nego la difficoltà, la problematicità e la delinquenzialità anche dentro questa popolazione. Ma io mi sono accorto che quello che fa la differenza non è tanto l’origine e il sangue, ma la condizione in cui la tua storia personale ti chiama a vivere. E allora certamente questi agglomerati sub-umani che chiamiamo “campi Rom” diventano un brodo di coltura per delinquenza e quant’altro. D’altra parte, però, certamente bisogna affrontare alla radice i problemi, scommettendo, investendo anche su alcune situazioni – nuclei, famiglie – che invece hanno ancora tanto di sano e di positivo per loro e quindi per la società.

D. – Don Paolo, lei a Roma sta vivendo, non da solo, un’esperienza di vicinanza con le famiglie Rom e Sinti: ci vuole raccontare qualcosa di questo?

R. – Questa mia esperienza di maggiore prossimità nasce esattamente nel 2007, quando vengo invitato in un campo Rom a partecipare ad un momento di festa. Da lì è incominciata una serie di rapporti, di contatti … Io ho cercato, poi, di farli diventare anche un’occasione formativa per i ragazzi del nostro seminario. E da allora ci rechiamo settimanalmente in alcune realtà – campi o centri di accoglienza – con alcuni seminaristi per varie cose. Abbiamo realizzato con loro momenti di incontro, di gioco, di festa, di sostegno scolastico; in particolare, due esperienze molto significative sono state due missioni popolari. L’idea di fondo è quella di aiutarli a uscire un po' da queste realtà dei cosiddetti campi, quindi portandoli fuori: abbiamo fatto qui partite di calcio con loro nel nostro campetto, alcuni gruppi di bambini, di ragazzini partecipano qualche volta ai nostri momenti di preghiera... Questo è quello che facciamo molto semplicemente. Non abbiamo la pretesa di risolvere chissà quali problemi …

D. – Lei pensa che tra questi seminaristi che l’accompagnano potrebbe nascere una vocazione a vivere stabilmente in un campo, oppure che nel tempo anche le parrocchie che hanno nel loro territorio presenze di Rom e Sinti possano maturare impegni particolari a loro favore?

R. – Io non credo che sarebbe opportuno andare a vivere nei campi, anche perché dai campi bisogna uscire, non andarci dentro. Bisogna fare in modo che i campi non esistano neanche per loro, per cui non vedrei molto valida l’opzione di andare a vivere lì … anche se questa è stata una scelta fatta da alcuni preti, soprattutto negli anni passati. Altro discorso è quello legato alla territorialità e alle parrocchie: noi con l’Ufficio “Migrantes” della diocesi di Roma, stiamo svolgendo un lavoro di sensibilizzazione di tutto il territorio diocesano, coinvolgendo e incontrando le parrocchie che hanno al loro interno questi agglomerati. Nello stesso tempo, però, certamente, le parrocchie devono farsi un po’ presenti e anche, in qualche misura, carico di queste persone, ma facendosi prossimi, andando noi da loro e stabilendo un rapporto di maggiore fiducia. Non è un processo facile, per cui questo – secondo me – è e sarà la prospettiva verso la quale bisognerebbe andare. Una grande attenzione diretta, personale la sta dimostrando il nostro cardinale vicario, Agostino Vallini e credo, ho la sensazione, che anche l’attuale Papa non sarà da meno nel vivere un’attenzione particolare anche nei confronti di questa popolazione.

Da parte sua, in occasione di questa Giornata, Amnesty International denuncia il fatto che l'Unione europea non sta facendo abbastanza per porre fine alla discriminazione dei Rom, circa 6 milioni, presenti nei suoi Stati membri. Gli sgomberi forzati, ad esempio, continuano a costituire la regola in molti Paesi europei, tra cui Francia, Italia e Romania. L'istruzione è segregata in Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia, in contrasto con le leggi nazionali ed europee che proibiscono la discriminazione razziale. Sulla situazione dei Rom, Adriana Masotti ha sentito Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:RealAudioMP3

R. – E’ una situazione molto drammatica, in cui esclusione, segregazione, istruzione separata, mancato accesso a diritti economici e sociali fondamentali, primo tra tutti quello all’alloggio, rendono i Rom in Europa cittadini non di serie B, ma di serie Z addirittura. Eppure, l’Unione Europea avrebbe gli strumenti, penso alla direttiva sull’uguaglianza razziale o alla stessa Carta dei valori fondamentali, con cui pretendere dagli Stati membri politiche non discriminatorie ma politiche di integrazione, politiche di rispetto dei diritti umani. Così non è, e nell’occasione della Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti abbiamo lanciato un appello sul sito Amnesty.it diretto alla Commissaria Viviane Reding, chiedendole di fare veramente quello che l’Unione Europea può e deve fare per fermare la discriminazione contro i Rom.

D. – Perché l’Unione Europea non fa abbastanza? E’ un problema di soldi, di volontà politica …

R. – Non credo sia un problema di soldi, perché a livello di Stati membri se ne sprecano tanti in politiche che si basano sulla negazione dei diritti umani attraverso sgomberi, sgomberi e sgomberi... Il Comune di Roma è un esempio, purtroppo, calzante in questo, anche se non è l’unico. C’è una insufficiente volontà, nonostante le parole e nonostante gli anni dedicati all’integrazione a livello europeo, e nonostante gli strumenti a disposizione, evidentemente la volontà politica a rimediare a cause gravi e agli effetti ancora più gravi della discriminazione, determina sia ciò che accade nei singoli Stati membri sia a livello di Unione Europea. E’ impressionante pensare quante volte la Commissione Europea abbia avviato procedure di infrazione nei confronti di Stati membri per questioni riguardanti la concorrenza, i trasporti aerei, le tariffe … Ma non c’è stata una sola occasione in cui l’abbia fatto per un episodio qualsiasi di discriminazione nei confronti dei Rom – ad esempio, il fatto che in quanto Rom vengano messi in scuole per alunni e alunne con disabilità mentali, o che si creino scuole in alcuni Paesi dell’Est Europa soltanto per i Rom – eppure questi sarebbero fatti gravi su cui la Commissione dovrebbe intervenire e non interviene. Una possibile ragione è che provvedimenti in favore dei Rom rischierebbero di risultare impopolari, giacché lo stigma che c’è in Europa – dimostrato anche dal recente sondaggio dell’Eurobarometro – è molto elevato.

D. – Alloggio, lavoro, istruzione: mi sembra che questi siano i nodi su cui ruota il possibile sviluppo di Rom e Sinti; ma sono anche questi, poi, i problemi che tuttora rimangono insoluti …

R. – E’ così. Purtroppo, fino a quando lo stereotipo e lo stigma e il pregiudizio faranno sì che i Rom siano considerati persone nomadi, che non hanno interesse a diventare stanziali, ad integrarsi, ad avere vicinanza con luoghi di lavoro, con la salute, con l’acqua potabile, con la scuola; fino a quando questo non cesserà, l’Europa – e l’Italia in particolare – continuerà ad essere la zona dei campi: fino a quando “il campo” resterà l’unica soluzione abitativa offerta ai nomadi, paradossalmente quasi per venire incontro al loro essere nomadici, per loro non ci sarà accesso ai diritti economici e sociali fondamentali. Saranno mondi a parte. E nel “mondo a parte” dei campi prosperano anche quelle forme di marginalità, di devianza e quindi l’idea dei campi è un’idea contro la sicurezza di tutti, in primo luogo dei Rom, in primo luogo dei bambini e delle bambine Rom che vorrebbero andare a scuola e che, sgombero dopo sgombero, perdono anni scolastici. Questo mi pare evidente.

Ultimo aggiornamento: 9 aprile







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