Siria, rapiti 4 giornalisti italiani. Attesa visita di Kerry a Instanbul
Una vera e propria pioggia di colpi di mortaio ha raggiunto stamani il centro moderno
di Damasco, prendendo di mira diversi obiettivi identificati dai ribelli come vicini
al regime. L'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria annuncia una nuova
strage ad Aleppo. Almeno 15 morti, tra cui nove bambini, per un raid dell’esercito
su un quartiere della città conquistato nei giorni scorsi dai ribelli. E ha fatto
il giro del mondo la notizia del rapimento di quattro giornalisti italiani non lontano
dal confine con la Turchia, nella regione di Iblid. Si tratta di Amedeo Ricucci, Elio
Colavolpe e Andrea Vignali e della giornalista italo-siriana, Susan Dabbous. Quest’ultima
dalla Siria ha spesso raccontato attraverso la nostra emittente le difficoltà della
popolazione civile. Intanto, c'è attesa per la visita che dovrebbe essere imminente
del segretario di Stato usa, John Kerry, in Turchia, oltre che in Israele e Giordania.
Dei possibili risvolti della visita sulla crisi siriana, Fausta Speranza, ha
parlato con Fabrizio Dal Passo, docente di Storia contemporanea all'Università
La Sapienza, che si occupa in particolare di aree di crisi:
R. – La presenza
di Washington in Siria, nel conflitto siriano, è abbastanza netta. La presa di posizione
a favore degli insorti da parte degli americani, seppur frenata da posizioni diplomatiche
avverse degli altri grandi potenti in Sede Onu, è comunque fortemente sostenuta da
Washington. Per cui, la presenza di Kerry nell’area significa un appoggio diretto
abbastanza sostenuto.
D. – Quale novità ci può essere rispetto al coinvolgimento
di Washington nella crisi siriana?
R. – La presa di posizione che potrebbero
assumere gli Stati Uniti, sia nei riguardi del conflitto siriano che nei riguardi
anche di altri conflitti, è quella di una presenza militare forte e massiccia in quelle
aree: metterebbero sul piatto della bilancia una prevalenza militare, e inevitabilmente
anche economica, in grado di modificare l’assetto politico del Paese.
D.
– Tutto lo scenario del Medio Oriente è mutato: quale può essere il ruolo nuovo della
Turchia?
R. – Un ruolo fondamentale. Da un lato per la vicinanza geografica,
perché la Siria rappresenta il vicino diretto: è evidente che i profughi si rifugiano
per la maggior parte in Turchia, che comunque è un Paese Nato, non lo dimentichiamo.
E poi perché, a livello diplomatico – per un discorso di vicinanza dei vari imam alla
cultura religiosa della Siria e la presenza di una comunanza religiosa – è comunque
un fattore determinante per coinvolgere le masse popolari, anche se non è l’unico.
Dall’altro lato, perché è inevitabile che anche la Turchia tema un coinvolgimento
di altre forze al proprio interno, che potrebbero sostenere o prendere una posizione
diversa rispetto al conflitto siriano.
D. – La crisi siriana adesso viene segnata
dal sequestro dei quattro giornalisti italiani. L’area in cui sono spariti è controllata
dai ribelli, quindi è presumibile il loro coinvolgimento ma si può pensare anche a
un fatto di malavita per un riscatto per esempio di soldi… Che cosa immaginare?
R.
– Direi che il controllo del territorio anche da parte dei ribelli non è sempre facile.
Non dobbiamo pensare che vi sia un esercito di militari ufficiale e un esercito alternativo
compatto e organizzato, che è efficace. Sono realtà completamente disgiunte l’una
dall’altra, con capi clan o capi tribù, con capi militari improvvisati o, in altri
casi, con imam improvvisati che riescono a fomentare le masse o le popolazioni anche
di villaggi e a contrapporsi al potere dell’esercito ufficiale.
D. – Diciamo
che la crisi in Siria è più acuta che mai in questo momento…
R. – La crisi
in Siria è più acuta che mai in questo momento per un doppio ordine di motivi: non
soltanto per il fatto che è una guerra civile fortissima e violentissima ma, secondo
me, la gravità in questo caso è soprattutto nella presa di posizione di alcune potenze
del Consiglio di sicurezza Onu. Alla presa di posizione molto decisa degli Stati Uniti
o anche dell’Europa Unita, dell’Occidente, per un abbattimento del regime di Assad
si contrappone la difesa a oltranza della Russia e in altri casi della Cina. Questo
ha portato a uno stallo diplomatico. Ciò chiaramente non fa che peggiorare perché
allunga i tempi, rende più difficile la ricerca di una soluzione politica e diplomatica
accettabile sia per Assad – che poteva aspirare quantomeno a un esilio dorato, possiamo
dire così – sia per i ribelli che non riescono a controbilanciare e a controllare
le città chiave del potere politico e diplomatico di Assad.