Offshore leaks. E' il terremoto sui grandi evasori fiscali nel mondo: cifre per oltre
30 mila miliardi
Si chiama Offshore leaks ed è il più duro e vasto attacco mai realizzato al buco
nero dell'economia mondiale. Oltre un centinaio di migliaia di evasori, tra cui 200
italiani finiti nel database sui paradisi fiscali realizzato dal Consorzio internazionale
dei giornalisti d’inchiesta di Washington con la collaborazione di 38 testate, tra
cui l’Espresso. Nel mirino 12mila società, molte grandi banche, ed è già bufera sull’Eliseo.
Cecilia Seppia:
Politici,
industriali, oligarchi, trafficanti d’armi e uomini della finanza internazionale:
sono i grandi evasori mimetizzati nei paradisi fiscali che spuntano fuori dalla imponente
mole di documenti segreti raccolti, in un anno dal Consorzio dei giornalisti d'inchiesta
con sede a Washington. 130mila titolari di conti correnti e investimenti tramite 12mila
società offshore lungo un arco temporale di 30 anni, per un ammontare di somme sottratte
al fisco dei 170 Paesi di provenienza stimato tra i 21mila e i 32mila miliardi di
dollari. I primi risultati sono già apparsi sui quotidiani inglese Guardian, sull'americano
Washington Post, sul francese Le Monde. Per l'Italia il caso è stato seguito dall'Espresso.
Finora il nome più celebre a finire nelle maglie dell’Inchiesta è quello di Jean Jaques
Augier, titolare di conti alle Cayman, e tesoriere della campagna elettorale del presidente
francese Hollande che ha però ammesso di non saperne niente. C’è poi la Russia con
i pezzi grossi di Gazprom e la moglie del vicepremier Shuvalov, l'oligarca Michail
Fridman. Ancora l’industriale tedesco Gunter Sachs. Sotto accusa anche gli investmenti
offshore di Grecia e Spagna. Tra i paradisi fiscali più ambiti, le Isole Cook e le
Isole Vergini. Il portavoce della Commissione Ue Bailly promette amare conseguenze
per tutti i luoghi che accettano o nascondono i proventi dell'evasione che ogni anno
nell'Unione europea supera i mille miliardi di euro.
Offshore leaks: arriva
il terremoto sui grandi evasori fiscali nel mondo: cifre per oltre 30 mila miliardi,
tra i nomi anche 200 italiani
Un'inchiesta dalle cifre globali che pone in
essere tante questioni. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Luigi
Paganetto, docente di economia internazionale all’Università Tor Vergata:
R. - Siamo ancora
di fronte ad un sistema finanziario internazionale che non ha regole condivise e soprattutto
con aree di salvaguardia per coloro che vogliono evadere i loro intenti fiscali. Questo
è un problema che finisce addirittura per determinare una concorrenza tra aree che
attraggono questi capitali.
D. – Somme sottratte al fisco per cifre comprese
tra i 21 mila ed i 32 mila miliardi di dollari: quanto questi soldi sarebbero potuti
servire, o potrebbero servire, per ridare ossigeno ai Paesi in difficoltà e risolvere
questa crisi economica finanziaria che stiamo vivendo?
R. – Io credo che il
punto è anche questo, ma è soprattutto quello di tener presente che queste somme sottratte
al fisco finiscono per aumentare l’ineguaglianza dei redditi a livello dei singoli
Paesi e tra i Paesi, perché questo fenomeno - largamente documentato anche dall’indagine
dell’Ocse – è un fenomeno importante. È chiaro che chi si sottrae al fisco è chi ha
un reddito molto elevato, o comunque tale da indurlo a rischiare per ottenere questo
vantaggio. È anche evidente anche che questo aumenta la percentuale di coloro che
ottengono redditi alti senza pagare la tassazione e sottraggono queste risorse ad
una distribuzione verso coloro che hanno meno.
D. – Tante le banche coinvolte
ed anche questo è un dato che fa riflettere, visto proprio il ruolo degli istituti
di credito nella crisi.
R. – Le istituzioni bancarie hanno una propensione
a determinare una certa professionalità che serve ai clienti per collocare i loro
capitali là dove sono più protetti. Questo riguarda il modo e le regole attraverso
cui sono regolate appunto le banche. L’idea che oggi in Europa si stia realizzando
un sistema di sorveglianza bancaria unificato significa che è qualcosa comunque sta
cambiando nella direzione giusta.
D. – Molte anche le istituzioni compromesse
in questa indagine: il caso della Francia con il tesoriere della campagna elettorale
del presidente Hollande, che sarebbe poi titolare di conti alle Cayman, poi c’è la
Germania… C’è bisogno di ricorrere ai ripari con sistemi più controllati, anche legislativamente
parlando…
R. – Non c’è dubbio. Questo è un problema di grandissima importanza,
perché quello che colpisce l’osservatore è la coazione a ripetere: la tendenza che
nonostante i tanti casi in cui queste questioni, queste magagne vengono fuori, c’è
poi la propensione di ciascuno a cercare di evitare di pagare il giusto. Questo è
qualcosa che merita una tensione politica molto forte.
D. – Tra i “paradisi
fiscali” che sono stati individuati in questa inchiesta ci sono le Isole Vergini,
le Cook... Il premier britannico Cameron ha detto che porterà il caso al prossimo
G8. Quindi riflettori accesi su un caso che spaventa e forse è la prima volta a livello
globale…
R. – Si sta crescendo l’attenzione, però qui c’è un aspetto che bisogna
considerare: indubbiamente, il premier inglese queste cose le ha dette ma va anche
ricordato che la Gran Bretagna è il più grande centro finanziario internazionale a
livello europeo. Che ci sia una così attenta considerazione da parte del premier è
naturale, si vorrebbe che non ci sia una concorrenza da parte di soggetti come le
Cayman, o come altri “paradisi fiscali”, perché questi redditi finirebbero per collocarsi
nel mondo finanziario londinese che è certamente quello più attraente e più organizzato.