Mons. Tomasi: Trattato Onu sulle armi, passo positivo ma con forti limiti
Un passo importante, ma attenzione ai limiti che contiene il Trattato sul commercio
delle armi convenzionali, approvato mercoledì dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite. E’ l'avvertimento di mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente
della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra. L’intervista è di Benedetta Capelli:
R. – E’ un passo
molto positivo, perché l’obiettivo è cercare di proteggere la vita umana e di facilitare
il rispetto dei diritti umani. Questo Trattato, se lo vediamo nel senso del primo
passo, va bene; però, la parola “storico” a volte viene usata un po’ generosamente,
perché ci sono dei limiti anche abbastanza forti in questo Trattato. Innanzitutto,
non c’è un meccanismo di controllo e inoltre ci sono possibilità per vie traverse
di portare avanti lo stesso traffico di armi. Il nuovo Trattato sul commercio delle
armi è stato anche l’occasione per un’azione di convergenza ecumenica perché, oltre
alla Santa Sede che si è impegnata specialmente a New York a dare un tono etico e
una dimensione umana come centro di questo sforzo internazionale, anche varie denominazioni
cristiane si sono messe sulla stessa lunghezza d’onda. Così questo Trattato è diventata
una prova: lavorando, infatti, insieme su alcuni temi di interesse comune per l’umanità,
si può diventare più efficaci e arrivare a qualche risultato concreto.
D. –
C’è stato grande consenso intorno a questo Trattato: il “sì” importante, ad esempio,
degli Stati Uniti mentre i tre “no” sono venuti dall’Iran, dalla Siria e dalla Corea
del Nord, Paesi in cui si vivono situazioni che preoccupano profondamente la comunità
internazionale. Parliamo in particolare della Corea del Nord dove in queste ultime
settimane si sta vivendo una situazione di gravissima tensione …
R. – Le situazioni
dei Paesi nominati sono molto diverse tra di loro. Il quadro generale però all’interno
del quale dobbiamo guardare il cammino del disarmo e della ricerca della pace dev’essere
quello di appoggiare tutti i tentativi, anche piccoli, che si muovano nella direzione
di facilitare il dialogo tra tutti i Paesi che formano la comunità internazionale.
La preoccupazione la destano i Paesi in difficoltà come la Siria, dove le vittime
sono migliaia e dove non si vede una via d’uscita politica, perché sembra che manchi
appunto la volontà di fermare la violenza; oppure la retorica militaresca della Corea
del Nord, sono situazioni che continuano a tenere l’incertezza e, al di là della retorica,
c’è il rischio serio che non ci sia pace nel mondo. Le energie quindi vengono consumate
nel cercare di ricomporre, di limitare e di controllare queste situazioni, invece
di investirle nel progresso che è necessario per lo sviluppo dei Paesi più poveri,
per la ricerca di una convivenza serena che faciliti la qualità di vita di tutte le
persone.
D. – Mons. Tomasi, oggi si ricorda la Giornata delle mine anti-uomo,
promossa dalle Nazioni Unite. Quali sono ancora oggi le sfide che vanno ribadite,
le urgenze che la comunità internazionale deve prendere in considerazione?
R.
– Dobbiamo porci sempre dal punto di vista delle vittime: questa situazione è stata
fortunatamente messa al bando attraverso il Trattato sulle mine antipersona. Dobbiamo
continuare a contribuire affinché si realizzi quello che il Trattato prevede soprattutto
per l’aiuto ai Paesi che devono eliminare i campi minati e alle vittime di questi
ordigni, e speriamo che possa veramente continuare ad essere efficace.