Violenza in Siria, si aggrava l'emergenza umanitaria
In Siria è guerra aperta. Anche ieri i combattimenti tra esercito e milizie degli
insorti. Sconfinamenti delle violenze anche verso Israele e Libano. Ci riferisce Marina
Calculli:
L’offensiva
dei ribelli su Damasco si fa sempre più incalzante mentre l’esercito fedele al presidente
Assad continua a difendere la capitale. Fin da ieri mattina gli scontri sono ripresi
nel distretto di Berzeh nella zona nord e a Jobar nell’est. Le forze militari del
regime hanno bombardato diversi centri della periferia di Damasco e secondo diverse
testimonianze, tra le vittime ci sarebbero anche bambini. Nella zona nord, invece,
dove il regime ha in parte perso il controllo del territorio, un commando di uomini
armati ha preso in ostaggio i passeggeri di un autobus diretto verso la provincia
di Idlib. Mentre la crisi si aggrava, l’emergenza umanitaria rischia di diventare
insostenibile. Una testimonianza da Kherbet al-Khaldieh, a nord di Aleppo, riferisce
che i profughi si nutrono ormai di erba e raccolgono acqua piovana per sopravvivere.
Il governo intanto rilancia la sua propaganda: un video di 14 minuti, visibile su
youtube mostra la first lady Asma al-Asad assieme ad alcune madri di soldati uccisi.
Asma nel video consola le donne e tutto si conclude con l’inno nazionale.
Intanto
aumenta lo sconcerto nella comunità internazionale dopo i dati diffusi dall’Osservatorio
siriano per i diritti umani, secondo il quale il mese di marzo è stato il più sanguinoso
dall’inizio del conflitto. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Maria Grazia
Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:
R. – La guerra
in Siria è letteralmente un “pozzo senza fondo”: il regime ha armi e le armi arrivano
ai ribelli. Inoltre, è uno Stato estremamente composito in cui già le vecchie divisioni
erano serie e ora si vanno accentuando e probabilmente – come capita sempre in situazioni
di guerra civile totale – se ne aggiungono altre. Si sa che i combattimenti si sono
allargati anche al Sud del Paese – finora era molto più coinvolto il Nord – e si sa
anche che filtra poco. L’unica notizia, che non so neanche se definire confortante,
che arriva dalla Siria è che i siriani stessi dell’una e dell’altra parte non si fidano
più di quello che le emittenti del Medio Oriente raccontano. Stanno nascendo giornali
che vogliono lavorare in modo indipendente, perché vogliono raccontarsi direttamente
e non tramite gli interessi di emittenti che inevitabilmente riflettono potenze estranee.
D.
– A fronte dei fallimenti della diplomazia internazionale, secondo lei c’è la sensazione
che a questo punto la comunità internazionale rimanga a guardare quasi nella speranza
che questo conflitto si esaurisca da solo?
R. – Anche se il conflitto si esaurisse
da solo nessuno risolverà il problema di cosa fare dei "pezzi" della Siria. L’unico
soggetto che forse può avere un peso – e in qualche modo l’ha dimostrato – può essere
la Lega Araba. Una settimana fa non ha lasciato vuoto il posto della Siria, come fece
l’anno scorso al summit precedente, ma lo ha dato al capo, o a quello considerato
tale dell’opposizione: per la Lega Araba cioè Assad è già passato di scena. Quanto
questo poi possa essere utile per una composizione non del conflitto ma dell’opposizione,
in modo tale che l’opposizione diventi operativa sia a livello militare – dove in
parte lo è già – ma a livello politico, questo veramente non si può sapere.
D.
– Intanto, sul terreno la situazione umanitaria sta diventando sempre più difficile.
Ci vuole una presa di posizione a questo punto a livello Onu, se non altro?
R.
– L’unica vera presa di posizione a livello Onu è dichiarare le cosiddette “no-fly
zone”, cioè aree in cui il governo di Assad non può intervenire bombardando, perché
buona parte dei combattimenti più micidiali si ha tramite elicotteri o missili. Se
fossero dichiarate fuori tiro zone abbastanza grandi da proteggere buona parte della
popolazione, e inevitabilmente i ribelli che si rifugerebbero lì, questo abbasserebbe
il numero dei morti. La Siria però è un Paese talmente composito che qualunque combattimento
coinvolge anche la popolazione intorno e a quel punto nessuno più guarda dove atterrano
i colpi. I sopravvissuti sono innanzitutto quelli scappati e in qualche modo – pur
con i loro grandi numeri – sono in salvo o in Turchia, o in Giordania. Il vero problema
sono i sopravvissuti, o quelli che sopravvivranno all’interno della Siria, perché
in ogni caso – qualunque cosa accada – la mappa etnica della Siria cambierà radicalmente.
Anche chi sopravvivrà dovrà cambiare o area, o modo di vita, perché ci vorrà molto
tempo per ricomporre la Siria anche su nuove linee.