Crisi Coree. Cina preoccupata: il ricatto nucleare può sfuggire di mano
E' sempre alta la tensione tra Corea del Nord e Corea del Sud e aumenta la preoccupazione
internazionale per una situazione che stamani la Russia ha definito “esplosiva”, dopo
l’annuncio di Pyongyang di riaprire la centrale nucleare di Yongbyon, ferma dal 2007,
e la decisione di bloccare oggi l’entrata dei lavoratori sudcoreani nel distretto
a Kaesong, l’area industriale di sviluppo congiunto tra i due Paesi. Roberta Gisotti
ha intervistato il prof.Franco Mazzei, docente emerito all’Università
di Studi di Napoli “L’Orientale” e docente di Politica internazionale alla Luiss di
Roma.
D. – Prof. Mazzei,
possiamo temere che il leader nord coreano Kim Jong-un cerchi lo scontro armato o
che voglia solo alzare il livello della provocazione, per ottenere cosa?
R.
– Io penso che, prima di ogni analisi della crisi nucleare nordcoreana, sia necessario
per noi europei ricordare una cosa: la penisola coreana porta ancora le stigmate della
Guerra fredda, guerra che in Asia è stata caldissima con decine e decine di milioni
di morti. Da più di mezzo secolo, questo fiero e nazionalistico Paese e popolo è diviso
in due Stati che sono all’opposto: uno molto avanzato, l’altro arretratissimo, uno
ricco, l’altro estremamente povero. Questa crisi è già cominciata nel ’93 e dura ormai
da tanto tempo. Cosa sta a significare? E’ quella che viene chiamata brinkmanship,
cioè la strategia dell’orlo del burrone, del rischio calcolato. In questo caso, il
rischio è quello del ricatto nucleare. L’obiettivo non è l’aggressione, ma è dettato
da una serie di ragioni. In primo luogo, la grave difficoltà del Paese, che vive in
un’estrema miseria. Secondo, il nuovo leader ha bisogno di legittimità sia internazionale,
ma soprattutto all’interno. Il giovane leader ha bisogno di avere consenso e in questi
casi è molto più semplice ottenere consenso additando dei nemici, ricorrendo al nazionalismo
militaristico e così via. Queste sono le vere cause che spingono il giovane leader
a proseguire una strategia, che però era già iniziata da molto tempo.
D. -
Quindi, ha ragione il segretario generale dell’Onu, il sud coreano Ban Ki-moon, che
ha parlato di crisi politica-diplomatica, andata "troppo oltre"...
R. – Indubbiamente
la crisi è grave, gravissima e preoccupante. Ma la soluzione migliore rimane ancora
il negoziato: il negoziato a sei, cioè le due Coree, gli Stati Uniti e la Repubblica
popolare cinese, e i due Paesi vicini, Giappone e Russia. Altre soluzioni non sono
immaginabili. E’ necessaria saggezza diplomatica. La strategia della Nord Corea deve
essere superata attraverso una cooperazione e collaborazione internazionale. Esiste
un problema, un vero pericolo reale: l’errore umano. Un errore elementare, tecnologico
potrebbe portare la situazione al di fuori di ogni controllo. L’Europa da parte sua,
in particolare, deve insistere sulla Cina, perché assuma un ruolo più responsabile
in questa crisi.
D. – La Cina può giocare un ruolo importante. Sul piano diplomatico,
si dice preoccupata e ha allertato le truppe al confine nordcoreano. Ma che cosa paventa
Pechino?
R. – Il rapporto tra la Cina e la Corea del Nord è un rapporto particolarissimo
tra amici-nemici. Gli strateghi della Cina sono ben abituati all’imprevedibilità del
vicino, che è considerato un bulldozer nei confronti degli Stati Uniti, ma anche imprevedibile.
Effettivamente, l’atteggiamento, la risposta della Cina a questa nuova iniziativa
del nucleare della Corea del Nord è interessante, perché per la prima volta ha cominciato
a parlare di preoccupazione. Finora, ha detto solo agli occidentali: “State calmi,
state tranquilli”. Adesso, invece, c’è qualche segno di preoccupazione. Questo dovrebbe
spingere sia gli Stati Uniti, sia l’Europa a premere sulla Cina, che è l’unica in
grado, in qualche modo, di condizionare le scelte della Corea del Nord.