Sudan: liberati i primi prigionieri politici dopo l’amnistia voluta da Bashir
Le autorità sudanesi hanno rimesso in libertà ieri sette prigionieri politici, i primi
a beneficiare dell’indulto concesso dal presidente, Omar al-Bashir. Il capo di Stato
ha annunciato lunedì la liberazione di tutti i detenuti politici del Paese, per spianare
la strada a un dialogo nazionale tra i partiti e consentire la scrittura di una nuova
Costituzione. Fausta Speranza ha intervistato Aldo Pigoli, docente di
Storia dell’Africa contemporanea all’Università Cattolica di Milano:
R. – La valenza
è sia di natura interna, per quanto riguarda gli equilibri politici nel rapporto con
le opposizioni, sia – e forse soprattutto – nei rapporti regionali con il Sud Sudan
e anche a livello internazionale per quanto riguarda l’immagine e la credibilità del
governo di Al Bashir nei confronti delle principali potenze internazionali come l’Unione
Europea e gli Stati Uniti.
D. – L’amnistia di Bashir dovrebbe aprire proprio
ad una situazione diversa negli Stati di confine tra Nord a Sud…
R. – Buona
parte delle persone che sono in prigione a causa di reati politici sono membri dei
movimenti politici armati che operano nell’area di confine tra i due Paesi e che il
governo di Khartoum dice siano sostenuti da sempre dal governo di Juba, dal governo
del Sud Sudan. Al contrario, il governo del Sud Sudan nega qualsiasi tipo di legame
con questi movimenti. Quindi, sicuramente l’operazione di Al Bashir – poi vedremo
quanto e come verrà realizzata – vuole manifestare una certa apertura nei confronti
del vicino Sud Sudan, ma vuole anche riabilitare un po’ l’immagine internazionale
del suo regime. Non dimentichiamo che Al Bashir ha più volte annunciato di volersi
ritirare dalla vita politica nel 2015 – non vuole concorrere alle prossime elezioni
presidenziali – una decisione che sarà fondamentale per il futuro del Paese. Ma è
evidente che adesso si stanno costruendo le fondamenta per questo tipo di sviluppo
di natura politica interna.
D. – A che punto siamo nei rapporti con il Sud
Sudan? Di recente, c’è stato un accordo per la gestione e per la vendita del petrolio,
ma i rapporti restano tesi…
R. – Sì. Nel settembre 2012, c’è stata questa serie
di accordi firmati ad Addis Abeba tra i due governi rispettivamente del Sudan e del
Sud Sudan per regolare in primo luogo la questione più spinosa legata alle revenues
petrolifere. Gran parte delle riserve di petrolio e delle attività di produzione ed
estrazione a partire dal luglio 2011 – cioè da quando c’à stata la scissione del Sud
Sudan dal resto del Paese – avvengono nell’area meridionale, in Sud Sudan. Quindi,
il governo del Sud ha tratto maggiori benefici da questa separazione, ma le infrastrutture
per il trasporto verso i principali porti di sbocco per la vendita e l’export sono
nel Nord Sudan. Per diverso tempo, quindi, ci sono stati grandi scontri diplomatici
e anche militari per quanto riguarda la gestione delle revenues petrolifere.
Poi, ci sono stati accordi anche per quanto riguarda i rapporti commerciali, economici,
o la questione dei cittadini, della nazionalità degli originari del Sud che vivono
al Nord e viceversa. Quello che è rimasto un po’ fuori è stata la gestione della sicurezza
circa le aree di frontiera, in particolare quella di Abyei, contesa da tempo – fin
dalla metà del 2011 – e sulla quale rimangono delle problematiche che in più di un’occasione
hanno portato allo scontro e al conflitto tra il Nord e il Sud.