2013-04-02 15:24:32

Siria, Osservatorio diritti umani: marzo 2013 il più sanguinoso con 6 mila morti


In Siria, continua senza sosta la guerra civile tra esercito e insorti. Anche stamani si segnalano violenti scontri a Damasco. I ribelli controllano vaste zone della periferia e continuano l’avanzata verso i quartieri più centrali della capitale. Intanto, ieri l’Osservatorio per i diritti umani, vicino all’opposizione, ha segnalato che il mese di marzo, con oltre 6 mila vittime, tra le quali molti civili, è stato il più sanguinoso dall’inizio del conflitto. Giancarlo La Vella ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Firenze:RealAudioMP3

R. – La guerra in Siria è letteralmente un “pozzo senza fondo”: il regime ha armi e le armi arrivano ai ribelli. Inoltre, è uno Stato estremamente composito in cui già le vecchie divisioni erano serie e ora si vanno accentuando e probabilmente – come capita sempre in situazioni di guerra civile totale – se ne aggiungono altre. Si sa che i combattimenti si sono allargati anche al Sud del Paese – finora era molto più coinvolto il Nord – e si sa anche che filtra poco. L’unica notizia, che non so neanche se definire confortante, che arriva dalla Siria è che i siriani stessi dell’una e dell’altra parte non si fidano più di quello che le emittenti del Medio Oriente raccontano. Stanno nascendo giornali che vogliono lavorare in modo indipendente, perché vogliono raccontarsi direttamente e non tramite gli interessi di emittenti che inevitabilmente riflettono potenze estranee.

D. – A fronte dei fallimenti della diplomazia internazionale, secondo lei c’è la sensazione che a questo punto la comunità internazionale rimanga a guardare quasi nella speranza che questo conflitto si esaurisca da solo?

R. – Anche se il conflitto si esaurisse da solo nessuno risolverà il problema di cosa fare dei "pezzi" della Siria. L’unico soggetto che forse può avere un peso – e in qualche modo l’ha dimostrato – può essere la Lega Araba. Una settimana fa non ha lasciato vuoto il posto della Siria, come fece l’anno scorso al summit precedente, ma lo ha dato al capo, o a quello considerato tale dell’opposizione: per la Lega Araba cioè Assad è già passato di scena. Quanto questo poi possa essere utile per una composizione non del conflitto ma dell’opposizione, in modo tale che l’opposizione diventi operativa sia a livello militare – dove in parte lo è già – ma a livello politico, questo veramente non si può sapere.

D. – Intanto, sul terreno la situazione umanitaria sta diventando sempre più difficile. Ci vuole una presa di posizione a questo punto a livello Onu, se non altro?

R. – L’unica vera presa di posizione a livello Onu è dichiarare le cosiddette “no-fly zone”, cioè aree in cui il governo di Assad non può intervenire bombardando, perché buona parte dei combattimenti più micidiali si ha tramite elicotteri o missili. Se fossero dichiarate fuori tiro zone abbastanza grandi da proteggere buona parte della popolazione, e inevitabilmente i ribelli che si rifugerebbero lì, questo abbasserebbe il numero dei morti. La Siria però è un Paese talmente composito che qualunque combattimento coinvolge anche la popolazione intorno e a quel punto nessuno più guarda dove atterrano i colpi. I sopravvissuti sono innanzitutto quelli scappati e in qualche modo – pur con i loro grandi numeri – sono in salvo o in Turchia, o in Giordania. Il vero problema sono i sopravvissuti, o quelli che sopravvivranno all’interno della Siria, perché in ogni caso – qualunque cosa accada – la mappa etnica della Siria cambierà radicalmente. Anche chi sopravvivrà dovrà cambiare o area, o modo di vita, perché ci vorrà molto tempo per ricomporre la Siria anche su nuove linee.







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