Siria, Osservatorio diritti umani: marzo 2013 il più sanguinoso con 6 mila morti
In Siria, continua senza sosta la guerra civile tra esercito e insorti. Anche stamani
si segnalano violenti scontri a Damasco. I ribelli controllano vaste zone della periferia
e continuano l’avanzata verso i quartieri più centrali della capitale. Intanto, ieri
l’Osservatorio per i diritti umani, vicino all’opposizione, ha segnalato che il mese
di marzo, con oltre 6 mila vittime, tra le quali molti civili, è stato il più sanguinoso
dall’inizio del conflitto. Giancarlo La Vella ha intervistato Maria Grazia
Enardu, docente di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Firenze:
R. – La guerra
in Siria è letteralmente un “pozzo senza fondo”: il regime ha armi e le armi arrivano
ai ribelli. Inoltre, è uno Stato estremamente composito in cui già le vecchie divisioni
erano serie e ora si vanno accentuando e probabilmente – come capita sempre in situazioni
di guerra civile totale – se ne aggiungono altre. Si sa che i combattimenti si sono
allargati anche al Sud del Paese – finora era molto più coinvolto il Nord – e si sa
anche che filtra poco. L’unica notizia, che non so neanche se definire confortante,
che arriva dalla Siria è che i siriani stessi dell’una e dell’altra parte non si fidano
più di quello che le emittenti del Medio Oriente raccontano. Stanno nascendo giornali
che vogliono lavorare in modo indipendente, perché vogliono raccontarsi direttamente
e non tramite gli interessi di emittenti che inevitabilmente riflettono potenze estranee.
D.
– A fronte dei fallimenti della diplomazia internazionale, secondo lei c’è la sensazione
che a questo punto la comunità internazionale rimanga a guardare quasi nella speranza
che questo conflitto si esaurisca da solo?
R. – Anche se il conflitto si esaurisse
da solo nessuno risolverà il problema di cosa fare dei "pezzi" della Siria. L’unico
soggetto che forse può avere un peso – e in qualche modo l’ha dimostrato – può essere
la Lega Araba. Una settimana fa non ha lasciato vuoto il posto della Siria, come fece
l’anno scorso al summit precedente, ma lo ha dato al capo, o a quello considerato
tale dell’opposizione: per la Lega Araba cioè Assad è già passato di scena. Quanto
questo poi possa essere utile per una composizione non del conflitto ma dell’opposizione,
in modo tale che l’opposizione diventi operativa sia a livello militare – dove in
parte lo è già – ma a livello politico, questo veramente non si può sapere.
D.
– Intanto, sul terreno la situazione umanitaria sta diventando sempre più difficile.
Ci vuole una presa di posizione a questo punto a livello Onu, se non altro?
R.
– L’unica vera presa di posizione a livello Onu è dichiarare le cosiddette “no-fly
zone”, cioè aree in cui il governo di Assad non può intervenire bombardando, perché
buona parte dei combattimenti più micidiali si ha tramite elicotteri o missili. Se
fossero dichiarate fuori tiro zone abbastanza grandi da proteggere buona parte della
popolazione, e inevitabilmente i ribelli che si rifugerebbero lì, questo abbasserebbe
il numero dei morti. La Siria però è un Paese talmente composito che qualunque combattimento
coinvolge anche la popolazione intorno e a quel punto nessuno più guarda dove atterrano
i colpi. I sopravvissuti sono innanzitutto quelli scappati e in qualche modo – pur
con i loro grandi numeri – sono in salvo o in Turchia, o in Giordania. Il vero problema
sono i sopravvissuti, o quelli che sopravvivranno all’interno della Siria, perché
in ogni caso – qualunque cosa accada – la mappa etnica della Siria cambierà radicalmente.
Anche chi sopravvivrà dovrà cambiare o area, o modo di vita, perché ci vorrà molto
tempo per ricomporre la Siria anche su nuove linee.