Cresce l’autismo nel mondo. Mons. Zimowski: società sempre più priva della dimensione
affettiva
“Autismo: una parola che fa paura ancora oggi” e che deve invece suscitare “compassione”
“tenerezza “ “solidarietà”. Cosi mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio
Consiglio per gli Operatori Sanitari, sottolinea nel Messaggio per la Giornata mondiale
sull’Autismo celebrata ieri. Ricorrenza indetta dall’Onu nel 2007 per sensibilizzare
l’opinione pubblica su una sindrome psichica in forte aumento nel mondo che a tutt’oggi
resta senza certezze di diagnosi e cure. Il servizio di Roberta Gisotti:
Dall’Empire
State Building di New York, all’Arco di Costantino a Roma, al Cristo Redentore di
Rio de Janeiro: luci blu sui luoghi simboli del mondo per accendere i riflettori sull’autismo.
400 mila i malati solo in Italia, circa 5 milioni in Europa, casi raddoppiati in cinque
anni negli Stati Uniti. Crescita solo in parte spiegabile con le migliorate tecniche
diagnostiche. Le ipotesi all’origine della patologia sono genetiche, ma anche biologiche,
farmacologiche, cognitive, ambientali. Per questo occorre – sollecita mons. Zimowski
– “una profonda rivisitazione” di “un’’immagine ‘tipica e stereotipata’ del bambino
autistico”, che in genere si rivela tale intorno al terzo anno di età e che “appare
incapace di comunicare in modo proficuo con gli altri, talvolta come recluso in una
‘campana di vetro’, il suo imperscrutabile, ma per noi meraviglioso – sottolinea il
presule - universo interiore”. Occorre dunque testimoniare “l’Amore oltre lo stigma,
quello stigma sociale che isola l’ammalato e lo fa sentire un corpo estraneo” nella
moderna società, nella moderna sanità, sempre più tecnica ma sempre più priva e disattenta
a quella “dimensione affettiva”, che dovrebbe qualificare ogni percorso terapeutico.
Da qui il richiamo alla comunità cristiana perché accolga i bambini autistici nelle
attività sociali, educative, catechetiche, liturgiche, secondo le loro capacità relazionali
ed esprima solidarietà fraterna alle loro famiglie. E che la persona autistica non
sia un numero, ma sia accompagnato “con compassione e tenerezza nel suo tortuoso percorso
umano e psico-relazionale”, con l’aiuto di parrocchie, associazioni e operatori di
buona volontà.
L’autismo, un campo per la medicina ancora da esplorare
per capire da dove ha origine, quali sono i sintomi per la diagnosi, quali sono le
cure. Eliana Astorri ha intervistato la prof.ssa Maria Giulia Torrioli,
neurospichiatra infantile del Policlinico Agostino Gemelli di Roma.
R. - Ci sono
diverse malattie che possono portare a comportamenti di tipo autistico, tanto che
oggi spesso si parla di “autismi”, più che di “autismo”. Questo ha portato a dover
approfondire quali potevano essere le origini e ci sono studi tutt’ora in corso, perché
sono emersi elementi sempre nuovi, come infezioni, inquinamento atmosferico - attualmente
anche abbastanza studiato – e diverse altre cause che alla fine portano al comportamento
di tipo autistico. Si è parlato molto di cause genetiche ed attualmente questo è oggetto
di importante discussione perché è probabile che ci siano cause genetiche, ma che
da sole non bastino a provocare una sindrome autistica, e che quindi ci siano delle
concause tra fattori ambientali e genetica.
D. – Il mondo degli autistici è
così vario?
R. – Estremamente vario. Credo che ognuno di noi, nel momento in
cui sente parlare di autismo - specialmente chi non ha visto molti bambini autistici
- ha l’immagine di un bambino con gravissimi problemi di comportamento. In realtà
questo è vero soltanto in alcuni casi. Sono comunque bambini con un’intelligenza normale
o brillante. Quindi, si può trattare di bambini che hanno un comportamento assolutamente
diverso dall’immagine che abbiamo in mente quando parliamo di autismo. Però rimane
il punto fondamentale, che è quello di una difficoltà particolare ad entrare in rapporto
con gli altri e a capire come il mondo intorno a loro è organizzato.
D. –
Quanto è alta l’incidenza di nascita di un bambino autistico?
R. – E’ andata
aumentando enormemente negli ultimi tempi. Questo sicuramente un po’ è dovuto al fatto
che i casi di autismo vengono diagnosticati prima; diagnosticandoli prima si comprendono
anche moltissimi bambini che poi migliorano spontaneamente fino ad uscire dallo spettro
autistico. Tutto questo però non basta a giustificare l’importanza dell’aumento. Sono
state sperimentate moltissime cure farmacologiche: dalle dietetiche a quelle farmacologiche
più propriamente dette. In realtà, con queste si possono avere dei risultati su alcuni
sintomi dell’autismo come ad esempio sull’iperattività o sull’aggressività; ma non
rappresentano una terapia vera e propria per l’autismo.
D. – Sono fondamentali,
però, la riabilitazione cognitiva e comportamentale …
R. – Sicuramente sì.
Sono fondamentali perché sono quelle che poi incidono maggiormente sulle capacità
che il bambino va sviluppando, quindi facilitare alcune cose e inibirne altre. Si
è visto, per esempio, che prima si comincia un trattamento del bambino e migliori
sono i risultati. Ma è difficile dire quale trattamento possa essere quello più indicato,
perché spesso i bambini autistici non sono uno eguale all’altro. L’avere stabilito
come uno dei punti estremamente variabili il concetto di “gravità”, è sufficiente
per dire che l’approccio può essere molto diverso: in alcuni bambini “meno gravi”,
è possibile che sia sufficiente facilitare il contatto con gli altri bambini - se
si comincia quando è molto piccolo - per aiutarlo ad uscire da una situazione che,
in questo modo, probabilmente non diventerà mai un autismo propriamente detto. Ci
sono molti altri casi in cui, invece, è necessaria una terapia lunga, importante,
che coinvolge non soltanto il bambino autistico ma tutta la sua famiglia.