L'Ue "bacchetta" la giustizia italiana. Dalla Torre: processi lunghi, ma magistratura
è indipendente
L'Italia è terzultima in Europa, dopo Cipro e Malta, per la velocità di risoluzione
delle cause civili e commerciali. E’ la denuncia della Commissione Ue secondo la quale
nel Belpaese occorrono una media di 800 giorni per risolvere procedimenti giudiziari,
con pesanti ricadute sullo sviluppo economico. Da Bruxelles anche il monito: “giù
le mani dai giudici se si vuole una magistratura indipendente”. Per un commento sul
pronunciamento dell’Unione Europea Paolo Ondarza ha intervistato Giuseppe
Dalla Torre, presidente onorario dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:
R. - La lentezza
nasce certamente dalla mole dei procedimenti giudiziari. Probabilmente una parte di
questo fenomeno è legata ad un complesso normativo farraginoso, in parte contradditorio.
La semplificazione legislativa che era stata promessa è stata fatta soltanto in parte.
Un’altra causa risiede poi in una certa cultura che non è formata a trovare soluzioni
extra-giudiziarie ai conflitti che inevitabilmente sorgono perché queste si scontrano
con interessi di corporazioni. D. – Tra l’altro lo sviluppo economico, va detto,
è strettamente legato al sistema giudiziario: non si investe volentieri laddove le
cause della giustizia del lavoro hanno tempi biblici… R. – Certo. Investitori italiani
e soprattutto stranieri fuggono dal nostro Paese anche per la questione giustizia
e più in generale per la lentezza che parallelamente contraddistingue anche l’ambito
della pubblica amministrazione.
D. – Ma perché finora si è fatto poco o nulla
e perché quando si parla di riforma di giustizia la si intende solo legata, ormai
da 20 anni, alle controversie tra il leader del Pdl Berlusconi e la magistratura? R.
– In quel caso ci si riferisce alla giustizia penale. In questo caso invece, il discorso
riguarda piuttosto la giustizia civile. Il problema è che occorrono non una riforma
ma più riforme: certamente una riforma dell’ordinamento giudiziario anche se molte
cose sono state fatte; una riforma legislativa, come dicevo prima, una semplificazione;
infine una riforma della professione forense. Il gran numero di professionisti sul
mercato, certamente superiore alla necessità del Paese, provoca questa patologia
del ricorrere continuamente a gradi superiori quando il giudizio di primo grado potrebbe
essere del tutto esaustivo della questione. D. – La Commissione europea avverte
poi che il sistema giudiziario deve essere indipendente. Dunque, un’eventuale riforma
deve nascere all’interno della magistratura stessa o con un’azione politica esterna? R.
– Io non condivido questo giudizio dell’Unione Europea. Mentre sono assolutamente
d’accordo sulla lentezza della nostra giustizia, non condivido questa posizione perché
la nostra magistratura gode di una ampissima autonomia, quindi non vedrei tanto il
problema in termini di interferenze politiche. Che poi ci siano problemi a livello
politico, nel senso di polemiche questo è un altro fenomeno, ma non è questo che incide
sulla lentezza della giustizia.
D. – Quanto decisivo potrà essere l’apporto
del prossimo presidente della Repubblica - che ricordiamo è anche capo del Consiglio
superiore della magistratura - per avviare una riforma della giustizia civile? R.
- Certamente il presidente della Repubblica ha un ruolo importante per quanto riguarda
l’autogoverno della magistratura e quindi la sollecitazione a uno sveltimento delle
procedure interne che possano venire incontro a questa esigenza di accelerazione dei
tempi della giustizia. Inoltre è importante un lavoro di moral suasion nei
confronti del lavoro del legislatore perché metta mano con impegno, con coraggio,
non tanto all’ennesima riforma della giustizia ma anche a tutte quelle riforme connesse
che avranno poi l’effetto di rendere la nostra giustizia più rapida, più celere e,
per certi aspetti, anche più giusta.
D. – Questo anche per recuperare la fiducia
della gente nei confronti della giustizia?
R. – Non c’è dubbio. Una giustizia
che arriva male e tardi è una giustizia che alle volte, anzi spesso, manifesta un
volto ingiusto.